La narrativa di consumo (alta e bassa, premiata ai concorsi o venduta alle edicole, perché non è il mezzo di distribuzione a determinare la qualità e la collocazione di un'opera, ma il suo senso estetico, la sua capacità di recitare una parte fuori dal coro e di essere distinguibile, autoriale) ha da sempre vinto per distacco al botteghino, rispetto alle opere letterarie e artistiche. Questo perché la narrativa di consumo conferma i gusti e le visioni del mondo del pubblico, risulta più comoda al lettore, non costa fatica nella lettura. La scrittura autoriale è invece uno scomodo compagno di viaggio: va interpretata, accompagna il lettore su un sentiero sconosciuto senza dargli indicazioni, lo sabota nella sua convinzione rincuorante del mondo, non lo rincuora attraverso il cliché.
Un libro come Il filo dell'orizzonte di Antonio Tabucchi spiega bene la differenza tra un autore con finalità di mercato e uno con finalità artistiche. Il suo testo (una banale indagine da parte di un addetto alle camere mortuarie sull'identità di un cadavere trasferito alla morgue, che però nasconde la fascinazione dell’autore nei confronti della vicenda - mai citata testualmente - della morte di Guido Rossa, sindacalista trucidato dalle Brigate Rosse genovesi guidate da Riccardo Dura, come ampiamente narrato nel saggio di Sergio Luzzatto Dolore e furore. Una storia delle Brigate Rosse) deraglia dalla linea canonica del giallo, stravolge le componenti essenziali del genere e lo fa con l'intento artistico di mostrare al lettore un’autonoma visione delle cose, attraverso una lingua personale, lavorata, intarsiata, resa arte attraverso l'appropriazione del mezzo - lingua da parte dello scrittore e dell'esecuzione di un brano narrativo in cui la forma estetica ha una preminenza sull'uso comune, piano si potrebbe dire, della lingua e della sintassi. La narrativa di consumo (a qualunque genere o categoria possa poi appartenere) pensa al pubblico e al suo gusto; l'opera letteraria guarda all'espressione artistica e riflette i gusti dell'autore, estrapolando la creazione dal contesto sociale e culturale, dal momento storico.
Prendo un passo del testo di Tabucchi, per mostrare al lettore la capacità dell'autore:
" - Ma chi è lui per te? - parlava in un bisbiglio.
- E tu? - gli ha risposto Spino, - tu chi sei per te? Lo sai che se un giorno volessi scoprirlo, dovresti cercarti in giro, ricostruirti, frugare in vecchi cassetti, recuperare testimonianze di altri, impronte disseminate qua e là e perdute? È tutto buio, bisogna andare a tentoni."
È evidente in queste righe la natura filosofica del testo. L'indagine per la scoperta della verità sulla morte di uno sconosciuto, diventa indagine circa lo sconosciuto per eccellenza dell'esistenza di chiunque, vale a dire noi stessi.
Nei suoi nuclei narrativi fondanti, l'intero testo non si discosta dal passaggio riportato. Si tratta di una letteratura che non è derivata da altri media, ma che affonda le sue radici unicamente nella narrativa. Ricavare un film da Il filo dell'orizzonte necessiterebbe di una riscrittura del testo in sede di sceneggiatura, per adattarlo al mezzo filmico. Il testo di Tabucchi (come altre sue prove: si veda soprattutto Requiem, una enigmatica attesa di un fantasma in una Lisbona surreale e sospesa) vive di vuoti e di inazione, di silenzi e di brevissimi dialoghi. È inafferrabile e al contempo porta il lettore a riflettere sul senso segreto delle cose. Ricorda per certi versi un altro romanzo: Giallo Parma di Alberto Bevilacqua. Lo scrittore emiliano ne derivò anche un film, uscito con il medesimo titolo, di cui fu addirittura regista. Non stupisce constatare che il film fu un fiasco: il testo di Bevilacqua era fortemente intriso di letterarietà. Aveva una sua vita che non aveva senso trasportare sulla celluloide. Troppo scontata la trama dell'indagine. Barocco e altisonante in scene che sullo schermo avrebbero avuto del ridicolo, come in effetti avvenne.
Però, come libro, Giallo Parma funziona, appartiene alla categoria che stiamo affrontando del giallo con intenti e finalità letterarie. Il meccanismo testuale si basa sul tema teatrale della beffa, che riecheggia la commedia antica, ed elegge la Parma decadente e viziosa a novella Roma tardo - imperiale. E lo fa con una lingua elegante, vibratile, sensibile e poetica. Ennesimo testo scomparso dalla vista dei lettori. Ennesimo scrittore di qualità che dal giallo si è fatto affascinare, sedurre, e ha condotto sulla scia del mistero e della fascinazione per il giallo perfetto un'indagine che di razionale ha pochissimo, eppure possiede del genere le prerogative essenziali (un delitto, un mistero da svelare, un'indagine in corso). Eppure il giallo dell'autore parmigiano ha anche i tratti comici della beffa, la propensione al rovesciamento dei ruoli tipico del carnevale medievale, la passione campanilistica per la città che sempre ha contraddistinto l'italiano di ogni estrazione sociale. E tra le righe del romanzo prende forma un fantasma, un elemento conturbante: l'ossessione per i delitti del Mostro di Firenze. Lo scrittore non ha il gusto per il macabro, né la passione per la cronaca nera. Le vicende dei delitti seriali del maniaco fiorentino rivivono attraverso somiglianze, brevi stanze narrative, la descrizione del delitto che dà il via all'indagine delle forze dell’ordine locali
La passione per il giallo d'autore, del giallo come opera d'arte, nella viscerale equazione tra elucubrazione del delitto perfetto e perfetta realtà narrativa coinvolge anche gli strati più avanguardistici della letteratura nostrana. È il caso di Germano Lombardi, che nella sua natale Oneglia ambienta l'enigmatico Villa con prato all'inglese. La trama gialla è la scusa per fare sfilare una serie di figure finemente tratteggiate, depositarie di misteri secolari, in una Liguria nobiliare che diventa luogo di indecifrabili simboli. Vi compaiono vecchi marinai e addirittura fantasmi, che tengono compagnia al lettore fino a un finale aperto. Anche il romanzo di Lombardi è un testo finito fuori catalogo e con grave colpa. Come si sbagliano coloro che dicono che per conoscere la letteratura italiana sia sufficiente affidarsi al lavoro di salvataggio e scoperta dei testi da parte dei critici!
Il giallo, stravolto e strattonato, piegato alle istanze artistiche dello scrittore, ha affascinato anche le fasce più altolocate della letteratura e, in rari casi, ha avuto il piacere di vincere premi importanti, come il Premio Strega. È il caso di La ferocia di Nicola Lagioia. Questo non è un libro che è terminato tra gli avanzi di magazzino, ma merita una breve menzione, per la grande qualità narrativa, lo sperimentalismo artistico, il tratteggio sinuoso di una società sommersa che è il cuore pulsante delle passioni divergenti che comandano il mistero di un omicidio - suicidio di una giovane donna dell'alta borghesia barese. Lagioia tiene insieme pagine dove l'attenzione per il particolare emotivo, per i caratteri psicologici, convive con il mistero di una famiglia in caduta libera, dove l'aspetto morale soverchia quello economico e rappresenta l'epicentro del male. Alle tinte gialle canoniche succedono le tinte nere del dramma umano, rappresentato dal trionfo dell'egoismo e della ferocia.