Daniele Vacchino: Caro Paolo, il tuo saggio sull’omicidio di Elvira Orlandini è quello che oggi viene definito un saggio su un “cold case”, un caso freddo, senza più pista, né inchiesta. Per quale motivo hai deciso di dedicarti a questo fatto di cronaca?
Paolo Falconi: Dobbiamo partire da lontano. Era il 1986 quando con un collega del giornale per cui scrivevo, e scrivo, (Il Tirreno di Livorno) ci venne in mente di occuparci di alcuni casi eclatanti del dopoguerra accaduti in provincia di Pisa. E ce ne furono abbastanza, a dire il vero. Io iniziai a occuparmi del caso di Toiano, anche perché mi era stato raccontato chissà quante volte dalla mamma, quando ero adolescente. Già allora lo feci mio, e con il lavoro per il giornale lo diventò ancora di più. Solo che venni in possesso di una tale mole di documenti che le sei pagine speciali della serie non bastarono a contenere gli elementi. Iniziai così a buttare giù degli appunti più dettagliati.
Daniele: Cosa rende il “Delitto del Corpus Domini” particolarmente interessante?
Paolo: Colpì e investì tutti in quegli anni. Per i protagonisti coinvolti, malgrado loro, la storia, l’epoca. Ma anche l’epilogo della storia stessa. L’unico imputato, il fidanzato, assolto per insufficienza di prove dall’aver accoltellato quella poveretta. “In dubio pro reo”, recita la legge.
Daniele: Il tuo saggio non è solo la descrizione di un evento di cronaca, ma anche un album dei ricordi di un tempo e di un luogo che non esistono più. Puoi parlarci di questo aspetto?
Paolo: Ho preso ago e filo e ho cominciato a tessere un lavoro che doveva servire a noi che siamo arrivati dopo a questo mondo a capire meglio quello che significava vivere subito dopo il secondo conflitto mondiale, quando l’Italia repubblicana non aveva ancora preso forma e alla Carta costituzionale mancavano ancora sete mesi per entrare in vigore. Erano i tempi dei “derby” di peso: monarchia o repubblica, Partito comunista o Democrazia Cristiana, Patto Atlantico o “cappa” sovietica. Ma anche chi tifare tra Coppi e Bartali, per esempio. In tutto questo “dover scegliere” il cittadino medio si barcamenava anche tra il lasciare il lavoro nei campi e varcare i cancelli di una fabbrica. Nella speranza di un’esistenza migliore.
Daniele: Toiano oggi è un luogo magico per ricordi e mistero. Ci torni mai?
Paolo: Toiano è rimasto quasi quello che fu. Le case, almeno nella facciata che presentano sulla via, sono quelle. Però dentro sono smembrate. Come la vita di questo paese con tutta la sua gente andata altrove. E Toiano è ancora lì, quasi a fare sentinella tra la piana industrializzata di Pontedera e Pisa, e i calanchi che si spingono verso Volterra con i prati “saccheggiati” dalle greggi di pecore, che tra l’altro regalano un formaggio di prim’ordine. Ci torno, ci torno, a Toiano.
Daniele: Il tuo saggio ha aspetti documentaristici, ma è anche un notevole testo dal punto di vista del folclore locale e sotto il profilo sociale e storico. Mentre componevi il testo ti rendevi conto che stavi scrivendo un libro che aveva un fiato maggiore rispetto a un semplice libro di inchiesta su un fatto di cronaca?
Paolo: Sì, sì. È stato il mio obiettivo; spero di esserci riuscito. Siccome tutti i giorni faccio di mestiere il cronista, ho cercato di traslare anche in quelle pagine questo aspetto. Scrittura semplice, spiegazione il più possibile chiara di tutto quello che è successo nel 1947. Tutti i giorni scrivo sul giornale per essere capito. Perché non avrei dovuto farlo con il libro? Diceva quel grande giornalista che fu Enrico Mattei, direttore del quotidiano La Nazione di Firenze: “Sarai un grande giornalista quando la sera, rientrando a casa, la bottegaia davanti ti dirà “Ah dotto’ oggi leggendo il suo articolo finalmente ho capito quella cosa di cui tutti parlano e che non mi era ancora chiara”. Con il delitto della bella Elvira, ho messo per la prima volta per scritto quello che fino allora veniva tramandato oralmente. Con il tempo, poi, altri hanno “scimmiottato” il mio lavoro, si sono fatti belli con il sol di luglio, come si dice in Toscana, hanno dato alle stampe qualcosa, qualcun altro ha tirato fuori delle piece teatrali. Liberi di farlo, per carità. Ma almeno date a Cesare quel che di Cesare è…
Daniele: Se oggi avessi la possibilità di dedicarti a un altro caso di cronaca, a quale ti rivolgeresti?
Paolo: Non ci ho mai fatto mente locale. Ma oggi la cronaca ci offre continui spunti. Purtroppo…
Daniele: Il delitto della Bella Elvira è ancora oggi un ricordo nella mente della gente del posto. Testimonia tutto ciò il cenotafio a Elvira Orlandini, ancora oggi oggetto di culto. Vuoi spendere due parole su questo aspetto?
Paolo: È come se il delitto fosse stato compiuto tre mesi fa. Il tempo si è pietrificato. Ma occorre fare i conti con certa gente che si fa i selfie nei luoghi tristi: a Vermicino per il piccolo Alfredino Rampi, in via Fani dove venne annientata la scorta di Aldo Moro, sui luoghi dei delitti di mafia, ecc. ecc. E così davanti a quel cippo. Che ha una particolarità: offre l’unica foto esistente della povera ragazza.
Daniele: Il ricordo di una ragazza brutalmente assassinata oggi passa ancora, e soprattutto, dal tuo libro. Ne sei consapevole?
Paolo: Su quella ragazza sono state dette tante cose e le più sono inesatte. Non da parte mia, si badi. Ma anche il suo fidanzato, Ugo Ancillotti, non è stato risparmiato dall’infamia. Per fortuna, allora, almeno il settanta per cento della gente è stata dalla sua parte ritenendolo innocente. E io che ho avuto tra le mani tutte, dico tutte, le carte processuali affermo con forza: Ugo è innocente!
Daniele: La conservazione e la riedizione del tuo testo sono importanti proprio per salvare un pezzo di storia e il ricordo di una vita andata perduta. Mi auguro con tutto il cuore che un editore, conscio anche dei possibili risvolti economici favorevoli potrebbe comportare, possa provvedere a una nuova edizione. Con questo saluto un collega e un amico, ringraziandolo per il suo lavoro e per i suoi consigli.
Paolo: Di ristampe ne sono state fatte parecchie. Forse manca una copertura a tappeto a livello nazionale. E uno sceneggiatore che dia il “ritmo filmico” ai dialoghi che già il mio libro contiene per dar vita a una fiction. Grazie Daniele per l’interessamento e per l’augurio.