Il sogno del titolo, più che "strano", è "brutto" (Un mauvais rêve), ma non diventa più leggero perché condiviso: semmai, prolifera. Generato non da una misurata combinazione chimica ma da una diabolica alchimia, fruttifica in modo abnorme.
La frase sulla condivisione dei brutti sogni è pronunciata da Ganse, scrittore in crisi creativa che misura la letteratura a chili («Dall'anno scorso novecento pagine in volumi, trentacinque racconti di duecentocinquanta righe...»); maschera tragica di un tipo sociale («È caduto nella sua letteratura come un topo in un vaso di vischio e il vedervelo annaspare e gorgogliare è nauseante»); relitto di un tempo che fu («Per di più adopera un vocabolario impossibile, parole tutte sue, devono essergli state fornite nel millenovecento dal suo tappezziere insieme col resto dell'arredamento; rivestimenti di panno, poltrone imbottite, parole fatte per tenere al caldo lo spirito come il culo»). Il suo studio è l'incubatrice mostruosa in cui covano, con l'aiuto di buone dosi di eroina, i brutti sogni di tre personaggi diversamente sgradevoli: la signora Simone (Evangéline) Alfieri, assistente particolare e musa fuori dai canoni, santa senza miracoli, assassina per odio verso se stessa; il giovane Olivier, segretario dello scrittore e amante di lei, provinciale schizoide incline alla fuga dissociativa; Philippe, nipote di Ganse (in realtà figlio di una sua ex amante), rivoluzionario per moda, Saint-Just fuori tempo massimo e suicida per noia.
«Potrei intitolare questo romanzo Au bout du rouleau ("esaurito", "bruciato", "finito"). Parla di esseri che hanno perso la ragione di vivere e che si agitano disperatamente nel vuoto delle loro anime prima di schiattare. Scarti delle vecchie generazioni o aborti di quelle nuove», scrive Bernanos nell'agosto del 19351. Nella morbosa rete di rapporti che lega i quattro personaggi, il fattore generazionale è cruciale, ma la carica distruttiva dell'odio-amore tra gli «scarti» di un'epoca passata (Ganse, la signora Alfieri) e gli «aborti» di un mondo morto prima di nascere (Olivier, Philippe, ancora bambini durante la Prima guerra mondiale) è meno scioccante della totale mancanza di solidarietà tra pari. Tutti quanti hanno perso uno scopo: di più, hanno perso l'infanzia, simbolo di quanto di più prezioso e salvifico riempie il cuore degli uomini. Intuendolo, Ganse, per uscire dalla crisi, pensa di scrivere proprio un libro di ricordi d'infanzia: «Non è la prima volta che uno o l'altro dei suoi pari tenta l'impresa... I più scaltriti hanno dato solamente vuoti simulacri, orribili pupazzi di cera», lo fredda Simone Evangéline Alfieri.
Il titolo Au bout du rouleau ipotizzato da Bernanos sarà usato da Georges Simenon nel 1946 (in italiano Finale di partita). La stesura di Uno strano sogno era iniziata nel gennaio del 1931, ma poi era stata interrotta per scrivere Il signor Ouine, a sua volta accantonato per Un delitto. Tre romanzi nerissimi ‒ la cui scrittura è strettamente intrecciata ‒ accomunati dal tema dell'omicidio e risalenti a un periodo difficile della vita di Bernanos, vittima di un incidente destinato a renderlo invalido2. Affascinato dal poliziesco à la Simenon (dichiarò esplicitamente la sua aspirazione a scrivere romanzi come i suoi, ma la sua scrittura barocca è lontanissima dall'asciuttezza dell'altro), ossessionato dal Male («questa enorme aspirazione al vuoto») e dalle trappole del grande Avversario, Bernanos pensava forse al poliziesco come a una catartica evasione: i polizieschi sono «libri che fanno lavorare la fantasia, la fanno roteare nel medesimo senso fino allo stordimento, fino alla vertigine...» (sono parole di Ganse). Tuttavia l'interesse per una letteratura "morale" estrema, senza compromessi e senza scorciatoie, passion predominante di Bernanos e causa prima della sua marginalizzazione, prese il sopravvento. Nessuno di questi libri, infatti, è un giallo vero e proprio, e in tutti compare il personaggio-feticcio del prete. In Uno strano sogno, poi, il delitto conclude la storia invece che iniziarla, anche se tutta l'allucinata parte finale è una macabra cavalcata nella mente dell'omicida che non ha nulla da invidiare ai migliori thriller.
Uno strano sogno verrà pubblicato solo nel 1950 (postumo) con una prefazione, guarda caso, proprio di Simenon.
La sotterranea affinità tra scrittori diversissimi (tanto che difficilmente piacciono agli stessi lettori) come Bernanos, Simenon e Sciascia è oggetto di un originale saggio di recente pubblicazione: Un cruciverba italo-franco-belga (di Antonio di Grado, Bonanno editore, 2014). Sorprendente l'attenzione per Bernanos da parte di Sciascia, che di lui scrisse: «Uno scrittore cattolico che io (laico, illuminista, voltairiano: e tutto quello che di me si dice e che non nego) sento in questo momento più di ogni altro vicino»3. Meno sorprendente se si pensa alla «sofferta radicalità» con cui lo scrittore francese rappresentava «l'antagonismo tra il bene e il male», splendidamente sintetizzata dalla dura massima biblica "Il Signore vomita i tiepidi", che «potrebbe essere l'esergo di tutta la sua coerentissima produzione, dove i credenti moderati con i loro piccoli tornaconti e le aspirazioni alla tranquillità non ricoprono, come in Mauriac (che è un compiaciuto diagnostico del peccato) ruoli primari»4.
Il personalissimo anticonformismo di Bernanos è il motivo per il quale ancora oggi, a mio parere, merita di essere letto: «Aspro, violento, imprevedibile, Bernanos non era fatto per piacere ai benpensanti, di destra o di sinistra, cattolici o laici che fossero. Ogni suo libro, ogni suo intervento pubblico, suonava loro come una sfida e uno scandalo... Del combattente aveva l'aspetto, l'espressione, le parole. Era grande, con una bella testa folta di capelli. Aveva due occhi di un blu intenso. Parlava con irruenza, servendosi di un linguaggio colorito, ricco di metafore. La natura e la Grazia l'avevano fatto unico... Dovunque si trovasse, con la numerosa famiglia (l'amata moglie Jeanne, sei figli, i suoceri, qualche nipote) veniva presto il giorno in cui Bernanos sentiva urgente il bisogno di andarsene. Egli ne dava la colpa al clima, alle malattie, alle difficoltà finanziarie. Erano scuse. Il denaro, ad esempio, specie dopo la pubblicazione di Sous le Soleil de Satan, non gli è mai mancato. Ma egli, non tenendolo in alcun conto, lo spendeva senza riguardo e inoltre aveva una spiccata vocazione per le imprese sbagliate. Quella di trasferirsi con tutta la famiglia in Brasile (1938), dopo aver tentato la sorte nel Paraguay, per trasformarsi in allevatore di bestiame, fu la più assurda (ci perse tutti i suoi averi), non certo l'ultima»5.
Un uomo, insomma, non un quaquaraquà.
- De Georges Bernanos à Georges Simenon, pour éclairer l’actualité, à propos d’“Un mauvais rêve”. Le Figaro, 27 luglio 2010.
- Vedi articolo citato nella nota precedente.
- Quelle strane “affinità elettive” tra Bernanos, Sciascia e Simenon. Il Sussidiario.net, 24 febbraio 2014.
- Recensione di C. Lauro a “Un delitto”.
- La sfida al compromesso. L’Osservatore Romano, 8-9 gennaio 2001.