Horror

Le Vampire, di Ornella Volta

Domenica, 08 Dicembre 2013

Nel 1964 usciva per l'editore milanese Sugar Il vampiro di Ornella Volta. Negli anni '60 il paese del sole (in realtà da sempre molto più lunare di quanto si potesse supporre, come la stessa Volta avrebbe scritto in un denso articolo – quasi un manifesto – nel quinto numero della rivista Horror)1 riscopriva il gotico, per il tramite di autori, registi ed editori spregiudicati e coraggiosi.

Nel 1960 la quasi neonata Feltrinelli aveva pubblicato l'antologia I vampiri tra noi, una silloge di storie e documenti curata da Volta e dal giornalista Valerio Riva (poi nel Gruppo 63), e presentata da Roger Vadim. L'anno dopo la Luciano Ferriani Editore – effimera creatura dell'omonimo artista bolognese – lanciava l'ancor più effimera "Collana del macabro", un solo titolo ma che titolo: Io credo nei vampiri di Emilio de' Rossignoli (accreditato anche come curatore della serie). Sono gli anni d'oro del gotico italiano di Bava e Margheriti, ma anche di incursioni nemmeno troppo velate nell'horror come quella di Fellini in Toby Dammit (1968); gli anni in cui Dino Buzzati pubblicava sul Corriere della sera i suoi reportage dall'Italia misteriosa, e scrittori come Tommaso Landolfi e Bernardino Zapponi contaminavano l'Italia della Dolce Vita con suggestioni che discendevano direttamente da Hoffmann e Poe. Sono gli anni delle riviste romane I racconti di Dracula e KKK, vere e proprie palestre per autori italiani celati sotto pseudonimi stranieri. E anche il più ortodosso degli editori, Einaudi, era costretto a piegarsi: le Storie di fantasmi curate da Fruttero e Lucentini nel 1960 specificavano fin dal sottotitolo come si trattasse esclusivamente di "racconti anglosassoni del soprannaturale", quasi a relegare il gotico tra le brume geografiche e culturali della Gran Bretagna o del New England; ma per l'Italia che usciva dalla stagione del neorealismo la breccia, in qualche modo, era aperta.
C'entrava il cinema, naturalmente, e il Dracula di Terence Fisher del 1958. L'Italia intera aveva riscoperto il vampiro nell'interpretazione di Christopher Lee, e l'estate seguente tutta la penisola aveva ballato il Dracula cha-cha-cha di Bruno Martino. Ma non era solo una questione di moda. Gli autori italiani – Volta e De' Rossignoli su tutti – avevano mostrato fin da subito una competenza sospetta in materia; e i loro libri possedevano una complessità e una ricchezza che nulla aveva da invidiare – e, per certi versi, molto da insegnare – ai loro contemporanei anglosassoni.

volta il vampiro
Cover dell'edizione italiana de Il Vampiro di Ornella Volta

È interessante notare come Il vampiro di Ornella Volta fosse uscito in primo luogo in francese, nel 1962 – Le Vampire. La mort, le sang, la peur, per Jean-Jacques Pauvert, ottavo volume della "Bibliothèque internationale d'érotologie". Editore, fra gli altri, di Georges Bataille, André Breton e Pierre Klossowski (oltre che dell'Histoire d'O di Pauline Réage) dal 1945 al 1949 Pauvert aveva pubblicato per la prima volta l'opera completa del Marchese de Sade, fino a quel momento circolata solo in modo clandestino; e nel 1956, per questo, era finito in tribunale per offesa al pudore. Al processo avevano deposto gli autori della casa editrice e il direttore della Nouvelle Revue Française Jean Paulhan: interrogato sulla qualità dell'opera di Sade, questi aveva risposto che vi trovava "qualcosa di molto puro, di molto violento... qualcosa che sarà pure scioccante, ma che è la ragione di tutto il resto". Alla domanda su dove vedesse purezza in quella filosofia, che il presidente del tribunale trovava piuttosto distruttrice, Paulhan aveva risposto che anche Saint-Just aveva parlato di una "purezza della distruzione"; e che, come Sade, anche Freud era stato accusato di voler far crollare l'intero edificio della morale, mostrando il lato più oscuro dell'essere umano. Ma c'è proprio bisogno di esempi così dettagliati? – aveva domandato il presidente del tribunale. "È difficile, e forse imprudente", aveva risposto Paulhan, "sostenere che l'uomo sia malvagio senza mostrarlo nella sua malvagità. Sarebbe come invitare il lettore a cercare da sé"2.
Una risposta che ogni appassionato di horror potrebbe tranquillamente sottoscrivere ancor oggi, di fronte alle periodiche crociate moralistiche (per fortuna, sempre meno frequenti) . E che certamente Volta – appartenente allo stesso ambiente culturale di Pauvert e Paulhan – avrebbe approvato. Come Io credo nei vampiri di Emilio de' Rossignoli, Le vampire non è solo un'indagine letteraria, antropologica e cinematografica sul mito del vampiro: è un'inchiesta sul fondo più irrazionale e cruento della mente umana, un'esplorazione degli abissi già sondati dalla psicoanalisi e dal surrealismo francese, e che di entrambi mutua la carica liberatoria ed eversiva. Letteralmente imbevuto della lezione surrealista, e singolare anticipatore delle indagini iconografiche di Roger Caillois – si veda il ricchissimo apparato iconografico, che mescola stampe popolari, dipinti d'autore, illustrazioni da riviste ottocentesche, opere di Ernst, Goya, Magritte – Le vampire assorbe anche il messaggio più profondo dell'opera freudiana, l'idea che la conoscenza più autentica dell'uomo non possa ignorare i suoi Acheronta, le potenze infere che lo agitano dal profondo. Volta, del resto, era ed è parigina d'adozione, ma triestina di nascita, come De' Rossignoli era istriano: e non è forse un caso che entrambi gli autori che nei primi anni '60 diffondono in Italia la peste vampirica provenissero da quell'area di confine – fra Est e Ovest, Italia e Mitteleuropa – da cui, fin dagli esordi, erano tracimati nella penisola la "peste" e lo scandalo che Freud annunciava di portare con le sue dottrine. E come l'opera di Freud, come quella di Sade e di Breton, il mito del vampiro rappresenta per Volta il punto di tensione fra possibile e impossibile, reale ed immaginario, la suprema perversione che mette in crisi ogni fondamento sociale:

Il vampiro rappresenta il possibile nell'impossibile, la vita che è possibile nella morte, la morte che entra, presenza vivente, nella vita. Esso rappresenta l'aspirazione più profonda dell'uomo: sopravvivere alla propria morte. Concretizza la sua angoscia. Profanatore di ogni tabù, esso realizza ciò che si situa al vertice più estremo del proibito. Seguendo l'erotismo fino alla sua deriva più mostruosa, fino alla sua più profonda significazione, riusciremo forse a risolvere il problema della morte? Impareremo a vivere nella morte?3

In questo senso, sembra quasi che "l'impossibile" rappresentato dal vampiro, il suo violare ogni norma, preluda all'"impossible" che si affaccerà sui muri di Parigi, qualche anno dopo, nel maggio 1968, come l'unica cosa legittima e realista da chiedere: "Soyons réalistes, demandons l'impossible"4. Che per i canini dei vampiri, tra l'Italia e la Francia dei primi anni '60, passi il germe libertario dell'immaginazione al potere?

  1. Ornella Volta, “Per un’Italia lunare”, Horror, 5 (aprile 1970), 21-22
  2. Jean Paulhan, “Déposition de Jean Paulhan le 15 décembre 1956 à la XVIIe chambre correctionnelle de Paris”, in Id., Le Marquis de Sade et sa complice, Parigi, Complexe, 1987, pp. 89-98. La traduzione è mia.
  3. Volta, Le Vampire, p. 9. La traduzione è mia.
  4. Volta pubblicherà nel 1969 un Diario di Parigi, movimento studentesco, agitazioni popolari, crisi della sinistra intellettuale nei fatti di Francia dal 1956 al 1968, Milano, Longanesi

Scheda del libro

  • Titolo: Il vampiro
  • Autore: Ornella Volta
  • Pagine: 230
  • Editore: Sugar
  • Anno: 1964

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