Con le bancarelle di paese non si possono fare previsioni: ci passi tutti i giorni dopo il caffè, e il più delle volte non trovi che tascabili incellofanati dei fratelli Melita, gialli Mondadori mezzi sbrindellati, edizioni scolastiche de I promessi sposi. E però lo sai – perché lo sai – che da qualche parte sta annidato il pezzo che ti manca, e se pure potresti ordinarlo su ebay in un nanosecondo, rigetti tale soluzione come volgare: perché arriverà il giorno, e stai sicuro che arriverà, che Strega alla moda di Emilio De Rossignoli si paleserà in mezzo a quelle pile malferme, fitte di Liala e Delly. Non La donna di ghiaccio, ché quello l'hai trovato proprio da queste parti l'estate scorsa, e nemmeno Concerto per una bambola, che ti sei regalato altrove: no no, proprio Strega alla moda, secondo numero della collana Romantica Sonzogno, dato alle stampe dal Conte nell'ottobre del 1981. E infatti, un bel mattino.
Premessa numero uno: a basarsi su quello che gli specialisti chiamano il paratesto – la copertina, il lancio di quarta - Strega alla moda fa quasi calar le braccia più de La donna di ghiaccio. Anche a sorvolare sul titolo, che tenta di cavalcare biecamente la popolarità dell'immortale Mia moglie è una strega di Castellano e Pipolo - uscito nelle sale l'anno prima - il "dongiovanni" che s'aggira "nel caleidoscopio d'un giornale femminile", in una Milano che s'appresta a diventare da bere, non può non evocare sordidi figuri da craxismo di quartiere, griffati Armani dalla testa ai piedi e impegnati in patetiche imitazioni del Richard Gere di American Gigolo (anche quello del 1980). E anche la "catena di delitti" menzionata in quarta sarà tutt'al più (pensi) un'iperbole, per quanto la copertina – al solito, orrida – ti mostri una tipa, con parrucca rossa e forbici in mano, che s'avvicina minacciosa a una brunetta dall'aria perplessa. Così lo odî subito, quel Beppe Mauro che fa agghindare le sue conquiste con bustini da Kabarett, e mentre ascolti le sue stereotipate giustificazioni per scaricare l'ultima sua preda ("Vedi, io sono un uomo abituato ad avere la sua libertà") ti scordi quasi che si tratta di un romanzo del Conte, e ti aspetti pianti, recriminazioni, dialoghi banali, magari con sottofondo di Umberto Tozzi...
Esibendo un calmo disprezzo, Beppe Mauro le volse la schiena. Fu uno sbaglio irreparabile. Lei calò quella clava di fortuna sulla sua nuca, con violenza forsennata, continuando a colpire, mentre il piedestallo di marmo, i capelli, il collo dell'uomo si tingevano di rosso. Mauro si girò a metà, cercando di proteggersi, con le mani tese a difesa; la sua nuca era ormai una spugna molle di sangue.
Premessa numero due: se questa scena vi ricorda qualcosa, siete sulla buona strada. Il Conte, critico cinematografico, sa come si costruisce un'inquadratura, e questa soggettiva dell'assassino altro non è se non la scelta sintattica par excellence del giallo all'italiana, che mentre Strega alla moda viene recapitato nelle edicole inizia la sua lenta (e, invero, poco dignitosa) parabola discendente. Del giallo all'italiana, Strega alla moda riprende struttura, codici, convenzioni: i delitti in serie; gli omicidi in soggettiva; il vicecommissario dalla vita privata piuttosto grigia e il suo assistente, ovviamente meridionale; il dettaglio che passa inosservato e si rivela poi decisivo; i sospetti che cadono a turno nel microcosmo della redazione, e qualche tetta qua e là. E, il tutto, non senza ammiccamenti metanarrativi.
"Non stiamo realizzando un romanzo giallo", intervenne Ranieri. [...]
"E il ricattatore?" domandò la Colleferro, agitando l'indice in un gesto di ammonimento.
"Quale ricattatore?" Il poliziotto cadeva dalle nuvole.
"Come sarebbe a dire? C'è sempre un ricattatore in simili storie: il tipo che ha assistito al delitto o ha trovato la lettera compromettente e va dall'assassino a chiedere una somma per il suo silenzio. Naturalmente, l'assassino accetta, gli dà appuntamento in cima a un torrione diroccato e, invece di pagare, butta il ricattatore di sotto".
"Qui non c'è nessun ricattore".
"Aspetti prima di affermarlo".
Strega alla moda è un giallo all'italiana perfettamente congegnato, memore di tutti gli stereotipi del genere da Dario Argento in poi (e in particolare di Gatti rossi in un labirinto di vetro di Umberto Lenzi, del 1975). C'è da credere che la scelta di pubblicarlo nella collana Romantica non gli abbia giovato: se pure Sonzogno aveva una lunga tradizione nell'ambito del mystery, e finanche dell'horror (nel 1922 aveva pubblicato Dracula!), l'intera operazione editoriale pare contrassegnata dall'oramai nota cupio dissolvi del Conte, uno scrittore capace di proporre a Rizzoli un romanzo che satireggia due autori della Rizzoli, di uscirsene in pieni anni '70 con un romanzo cupamente apocalittico e di sfottere, dalle colonnine dei rotocalchi popolari, l'intellighenzia di sinistra facendo l'elogio delle caserme (a proposito, in Strega alla moda si ripete: "Hanno strozzato quell'orribile fattorino del secondo piano che ha l'abitudine detestabile di cantare inni fascisti nei corridoi?", chiede la direttrice della rivista. "Veramente non erano inni fascisti", commenta il narratore, "ma canti di arditi della prima guerra mondiale. Non si poteva pretendere che Venere riuscisse a distinguere": né, aggiungeremo, la maggior parte dei lettori italiani, allora come oggi). In questa sequela di suicidi editoriali, tenacemente e pervicacemente perseguiti, potremo tranquillamente inserire quello di pubblicare, in una collana di romanzi rosa, un libro che ha più parentele con Lenzi e Rondi che con Liala; e di farlo, per di più, deridendo senza alcuna pietà la stampa femminile – il giornale che fa da scena ai delitti, Stella, è una controfigura nemmeno troppo dissimulata dell'Annabella dove De Rossignoli lavorava – tanto che, dopo aver letto Strega alla moda, si finisce per stupirsi che le redattrici della rivista abbiano pubblicato, quattro anni dopo, un necrologio elogiativo dell'autore ("Mimmina non sapeva scrivere affatto, nemmeno una frase di tre parole. Molte cosiddette giornaliste della moda si trovavano nella sua esatta condizione di semi-analfabetismo, anche se avevano gusto, acume, capacità di scelta e fantasia").
Peccato, perché Strega alla moda non sfigura affatto accanto ai modelli nobili del genere: e un burlone che volesse appiccicarci tre o quattro citazioni dotte lo potrebbe tranquillamente smerciare come un inedito di Fruttero&Lucentini. Oppure come il nuovo libro di Hans Tuzzi, ché la Milano livida di De Rossignoli non ha nulla da invidiare (casomai da insegnare) a quella in cui si muove il commissario Melis: anzi, per una volta, si avrebbe un Tuzzi senza quell'insopportabile dannunzianesimo di ritorno, per cui i nobili son sempre illuminati custodi d'un mondo perduto, e i piccoloborghesi sempre colpevoli. Ché il Conte, nobile, lo era (forse) per davvero, e di simili fantasie aristocratiche – quelle, sì, da rotocalco – non aveva certamente bisogno.