La scrittura di Lucia Drudi Demby è caratterizzata in maggior misura dalla forma breve e da un certo gusto per i personaggi femminili tra realtà e “limbo, al di là della storia”1. Con La lezione di violino, uscito per Adelphi nel 1977, sperimenta invece la forma-diario, pur continuando a trattare di tematiche “rosa”. La storia si dipana in un collegio montano, dove una quindicina di orfanelle conducono una vita di "serena allegria" e "buona volontà". Le prime pagine del libro sono stranianti, al limite del grottesco: la protagonista descrive alcuni brandelli delle monotone giornate passate in compagnia delle altre ospiti, all’ombra della statua della loro santa protettrice, tra studio, svaghi e attività varie. Per certi versi, mi è sembrato di avere a che fare con un certo tipo di letteratura cattolica, legata alle biografie dei beati.
È un mondo quasi astratto, quello narrato, che ricorda da vicino la vita all’interno di un convento. Il desiderio comune delle orfanelle è di rimanere per sempre nella villa che le ospita, lontano da tutto ciò che c’è fuori, male compreso. Gli altri abitanti - le maestre in primis - sono dei meri comprimari, senza un volto, senza una caratterizzazione forte. Lo stile narrativo enfatizza questa sorta di stucchevole paradiso, che appare tutto tranne che credibile. Un bel giorno, l'idilliaco quadretto viene scombussolato da una nuova orfanella. Enea, questo il suo nome, è "be-lli-ssi-ssi-ssi-ma", ha gli occhi lilla e i capelli corvini: nel mondo limpido e trasparente del collegio la sua presenza porterà il vento del mondo di fuori, darà alle altre nuovi occhi per vedere "chiazze scure" anche nelle loro linde aule2.
Enea, con le sue esperienze e il suo modo di fare, entrerà nella vita delle altre come un temporale estivo: le nubi e soprattutto il vento, scoperchieranno però alcuni scomodi segreti, tenuti sopiti da tempo. Eloquente, a tal proposito, quanto scritto dalla protagonista, verso il finale del libro: "È entrata in questo corpo nostro che è la villa e l'ha ammalato, è una epidemia, bisogna imparare a vivere con lei, o a non badarle". L'intreccio che si sviluppa è repentino. Le orfanelle scoprono nuove stanze, luoghi chiusi da tempo, che metaforicamente si collegano alla trama del libro. Chi sgarra deve però essere punito. Punto. Mi fermo, ed è veramente difficile, perché la mia disanima meriterebbe di proseguire raccontando dell'epilogo. Vi basti sapere che nulla sarà come prima, nonostante il tentativo di catarsi finale. Sappiate, che come affermato, "l'importante è che non siamo state noi. Non sono stata io".
Ho inserito La lezione di violino nella categoria del giallo, perché come riportato in quarta di copertina, questo libro ha un raro dono di leggerezza, ironia e nitidezza di immagini. Molto dice e ancora di più lascia presagire, man mano che l’azione disegna gli enigmi di un giallo, e intanto getta delicate sonde, quasi inavvertite, in grandi temi: la necessaria tortura del conoscersi, la crudeltà e la doppiezza dell’innocenza. La lezione di violino è un romanzo che mi è proprio piaciuto, perché Lucia Drudi Demby ha saputo sorprendermi, sia per lo stile adottato e per la capacità di condensare in poche pagine, temi così difficili e complessi.
- Lucia Drudi Demby, Enciclopedia delle donne
- Le voci del violino. Ghislanzoni, Kafka, Svevo, Drudi, Demby, di Maria Domenica Mangialavori