Realismo

Il luogo senza confini, di José Donoso

Giovedì, 13 Marzo 2025

L’inferno non ha limiti, non è circoscritto in un unico luogo. Dove siamo è inferno e dov’è inferno lì staremo per sempre1Il luogo senza confini in cui sono intrappolati i personaggi del cileno José Donoso è un pueblo dimenticato da Dio: Estación El Olivo non verrà mai rischiarato dalla luce dell’elettricità-speranza.

Estación El Olivo è un inferno in cui risuonano i latrati di un Cerbero a quattro teste: questi cani feroci appartengono al senatore Don Alejo, signore indiscusso del villaggio. Il latifondista ha fatto grandi promesse ai suoi elettori, ma, in realtà, ha a cuore solo i suoi interessi. Il don è la perfetta incarnazione del partito dell’ordine: il partito dei conservatori, degli uomini d’onore che non creano mai problemi e che saldano puntualmente il conto, quando s’intrattengono nel bordello del pueblo.

Il romanzo di José Donoso si apre proprio nel postribolo di Estación El Olivo e, più precisamente, nella camera da letto delle proprietarie del locale: la Giapponesina, figlia ed erede della defunta Giapponese Grande, e Manuela, ex socia di quest’ultima. Manuela è alle prese con un vestito sgargiante, sgualcito dalle mani di clienti ubriachi e violenti: quell’abito sciupato rappresenta il cuore pulsante, un cuore ardente e sanguinante, de Il luogo senza confini. Quando Manuela fa roteare la falda della sua gonna, si tramuta in una sirena ammaliatrice, in una perturbante regina della notte.

Tutte le donne che vivono nel postribolo si rivolgono alla ballerina col nome di Manuela, tutte tranne la Giapponesina: lei non la chiama così, lei la chiama “papà”, rivendicando il loro problematico vincolo di sangue. La parola “papà” rimette in discussione l’immagine che Manuela ha di sé, provocandole una vera e propria crisi d’identità:

Ma a un tratto la Giapponesina gli diceva quella parola (papà) e la sua immagine si offuscava come se ci fosse caduta sopra una goccia d’acqua, e lui, allora, perdeva di vista se stessa, se stesso, io stessa non lo so (…).

Il vestito colorato crea un’illusione effimera: tra un passo di danza e l’altro, gli occhi degli spettatori iniziano a indugiare sul petto troppo piatto, da adolescente, della ballerina e sui suoi fianchi spigolosi. L’incantesimo si spezza: il vestito non nasconde i seni acerbi di una giovane donna, ma il petto ossuto di un vecchio travestito. La parola “papà” sancisce la cesura tra finzione scenica e realtà, spezzando in due il nome di Manuela. Manuel/a: da una parte c’è la regina di cuori che può prendere vita solo sul palcoscenico; dall’altra c’è il povero omosessuale che, in seguito a una scommessa, si è ritrovato nel letto della Giapponese Grande.

Manuel/a: tra queste due identità si apre un abisso, la voragine infernale in cui sprofonda chi non può trovare posto in una società patriarcale e omofoba. Il/la protagonista de Il luogo senza confini è destinato/a restare ai margini di un mondo che non ammette la sovversione delle categorie binarie, la possibilità che un corpo maschile racchiuda un’anima femminile: solo in uno spazio altro, come il palcoscenico di un bordello, le regole possono saltare. José Donoso ci restituisce il senso di turbamento e di smarrimento insito in questa identità “sfocata” e marginale, alternando freneticamente pronomi maschili e femminili: Manuel/a vuole essere Manuela, ma quando sua figlia e gli abitanti del pueblo lo/la fissano, torna a riferirsi a sé stesso/a col nome di Manuel.

I pensieri ossessivi di Manuel/a irrompono bruscamente nella narrazione in terza persona, destabilizzando i lettori: lo scrittore cileno ci fa osservare il mondo attraverso gli occhi di una creatura scissa e condannata alla solitudine. Manuel è un uomo stanco, provato da una vita difficile. Manuela è una donna passionale, innamorata del brutale Pancho Vega. Manuel/ è una loca che balla tra vapori di vino, inebriando gli spettatori col suo fascino ambiguo. Manuel/a è l’incarnazione del desiderio, un desiderio inconfessabile, che apre incrinature nella facciata di una società avvelenata da una tossica cultura machista.

José Donoso cala i lettori nell’inferno della disperazione: le sue pagine trasudano lacrime e sangue e sono intrise del vino della solitudine. L’erbaccia che cresce sui muri del pueblo, tracciando linee precise, ossessive, ripetitive, è il correlativo oggettivo dello scacco vissuto da personaggi senza via di scampo. Anime dannate circondate da oggetti familiari che si tramutano nelle sbarre di una prigione. Disperati che abitano un luogo oscuro, non rischiarato dalla luce della speranza, in cui si consuma la morte impercettibile dell’anima.

Estación El Olivo è sì un inferno in terra, ma – la forza sovversiva del romanzo sta proprio in questo – è anche un mondo assolutamente al contrario: un luogo altro in cui si invertono non solo i generi sessuali dei personaggi, ma anche le convenzioni familiari, i ruoli economici, le gerarchie e i valori contenuti nel discorso ufficiale2. Un luogo in cui, attraverso lo spirito carnevalesco, vengono alla luce le tare di una società basata su un ordine solo apparente3. Un ordine che viene rimesso in discussione da una figura marginale e memorabile, che, a dispetto di tutto e di tutti, continua a far roteare la falda della sua gonna.

  1. Il Dottor Faust, Christopher Marlowe, Copioni Corriere Spettacolo
  2. Il corpo che si traveste: «Il luogo senza confini» di José Donoso, Andrea Jeftanovic, traduzione di Marta Farias, Sotto il vulcano | Il blog di SUR – Edizioni SUR 
  3. Vedi la sinossi dell’edizione Catedra

Scheda del libro

  • Titolo: Il luogo senza confini
  • Autore: José Donoso
  • Traduttore: Francesca Lazzarato
  • Pagine: 149
  • Editore: SUR
  • Anno: 2012
  • Anobii: scheda del libro

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