Il primo numero esce appunto nell’ottobre del 1970 e si intitola anche i fiori sanguinano (non metto le maiuscole non per vezzo mio, bensì perché son proprio così i titoli). L’altro aspetto interessante è che sono dei thrilling che si inseriscono in modo originale nell’appena nato filone dell’italian giallo inventato da Dario Argento e cavalcato (su carta) in particolare dalla collana dei KKK delle Edizioni Periodici Italiani. Anche i fiori sanguinano (oltre alla bellissima fotografia a colori usata per la copertina) è un thrilling alquanto anomalo. L’autore si firma Dick E. Patterson, ma ormai abbiamo capito che deve trattarsi con buona probabilità di uno pseudonimo. Non viene indicato un possibile traduttore, quindi viene difficile immaginare chi possa essere. Peccato. Patterson si butta subito su una storia che trasuda immaginario americano da ogni poro. Il festival di Woodstock è passato da poco, ma un improbabile e scalcagnato giovane impresario musicale ha nella testa di ripetere l’evento. Eccolo allora alla ricerca di giovani talenti femminili da lanciare nel firmamento musicale. L’ambiente in cui si muovono i personaggi è quello degli hippies, della gente nuda, delle droghe, delle comuni. Patterson disegna in modo sfuocato (ma suggestivo) un paese in cui gruppi di giovani sciamano per le strade, si siedono sui marciapiedi, si accampano, suonano la chitarra, fanno l’amore, professano di voler vivere in una società diversa. Sono i nuovi americani, una generazione dondolante e stravagante, figli dei fiori o giovani colletti bianchi dell’università. Ad accomunarli è la musica di allora, un muro di chitarre elettriche, tamburi, batterie che risuonano nelle stradine, nei parcheggi vicino ai motel, o lungo i downtown urbani. Peccato che un folle e misterioso maniaco cominci ad ammazzare in modi violenti e variegati (una delle caratteristiche del thrilling di allora) alcune ragazze. Charlie Connelly, aspirante organizzatore canoro, viene subito sospettato e coinvolto nella faccenda, costringendolo a cercare nuove sostitute (interessante il particolare che lo porterà ad essere sospettato, ossia una sciarpa rossa e nera al collo, particolare che riaffiorerà in modo similare anche nel film I corpi presentano tracce di violenza carnale); i delitti sembrano collocarsi sullo sfondo di una società in preda a ondate di follia. I giovani contestano le atrocità commesse nel Vietnam, gli spettri di Mao, Che Guevara e Nixon aleggiano ancora nell’aria e il misterioso maniaco mutila altre giovani ragazze legate all’imprenditore musicale (l’ossessione è già quella del pube e del ventre sconciato). La polizia indaga senza troppi risultati, mentre proseguono comunque i preparativi del “Festival della Pace”. L’ambientazione americana (New York), la miscela di personaggi libidinosi, un po’ figli dei fiori, un po’ bianchi, neri, gialli libidinosi, costituisce un interessante variante per il nostro thrilling.
Anche Laura Toscano (sotto vari pseudonimi) avverte la medesima fascinazione. Tra il ’69 e il ’70, la scrittrice ambienta alcuni volumi dei KKK proprio nel medesimo ribollente calderone culturale, lasciandosi in particolar modo affascinare dai fantasmi generati dal terribile massacro di Bel Air e dalla figura esoterica di Charlie Manson. Patterson è uno scrittore meno dotato della Toscano, comunque gioca bene le sue carte, tirando via pagine coi soliti dialoghi un po’ buttati lì, scene di sesso, delitti e scontri di piazza tra i giovani provocatori e la polizia. Verso la fine, senza rovinare la lettura di un eventuale lettore, l’assassino rapisce una giovane ragazzina (l’intento è sempre quello di far naufragare il Festival e rovinare il suo organizzatore) e le amputa le mammelle, ne mette dei lembi di pelle e li spedisce alla pula (o a qualcuno, non ricordo bene). Particolare che mi fa subito venire in mente le gesta del mostro di Firenze, alimentando sempre la suggestione di un mostro che si abbeverava di queste pubblicazioni e da cui traeva linfe fantasmatiche (per inciso, quando il colpevole verrà smascherato, troveranno pure dei barattoli di formalina con dentro altri pezzi prelevati alle sue vittime). Sorvolando, ciò che rimane è sempre la sensazione di trovarsi davanti a una letteratura “minore” da edicola, figlia di quell’editoria in fermento degli anni ’60.
Il particolare periodo storico, la libertà culturale che si stava raggiungendo, il bisogno di osare e di mostrare nudi femminili (cosa che viene soddisfatta dallo sciatto fororomanzo a seguire, cumulo di donnine discinte in scatti e pose fatti nel tinello di casa, su un set poverissimo): il romanzo esce nelle edicole nell’ottobre del 1970, in un paese come l’Italia che si è appena lasciato alle spalle la festa del ’68 ma che ancora sente il desiderio dei nuovi giovani di evadere dallo stile dei comportamenti borghesi (ed è proprio su questo tema che il romanzo innesta la sua trama gialla, collocandosi in uno spazio/tempo contiguo a quello di allora, mostrando una maggiore adesione allo spirito dei tempi, cosa rara per questo tipo di editoria piratesca e improvvisata); tuttavia nei ’70 il viaggio e la ribellione cominciano a fare i conti con le macerie fumanti del 12 dicembre del ’69; un’escalation di violenze e agitazioni sindacali accompagnano l’esplosione della Banca dell’agricoltura di Piazza Fontana. L’Italia del 1970 è quella dello Statuto dei lavoratori, riforma varata nel maggio di quell’anno. Solo pochi mesi dopo l’uscita de “anche i fiori sanguinano”, nel dicembre il Parlamento approva la legge sul divorzio. Sono passi e conquiste sociali importantissime. Sempre nel dicembre di quel 1970 (ma lo si saprà solo l’anno successivo) viene tentato il colpo di Stato di Junio Valerio Borghese, organizzato assieme ad alcuni generali già coinvolti nel Piano Solo. Politicamente l’Italia di allora vede un progressivo indebolimento del centro-sinistra voluto da Aldo Moro e un progressivo allontanamento del Pci dall’area di governo. Già dal gennaio del ’71 cominceranno ad agitarsi fantasmi insurrezionali sul fronte opposto dell’estrema sinistra, in un clima da bolgia non lontano da quello evocato dal romanzetto di Patterson.
Salto il numero 2 della collana, una rossa di nome Vicky, sorta di noir americano di tale Tom Coole (altro pseudonimo di chissà chi?), polpettone poco interessante, seguito da un fotoromanzo erotico dal titolo Nel segno della bara. Voglio riassumere alcuni elementi di queste scritture da edicola thrilling. Anzitutto un’esasperazione voyeuristica combinata al whodunit sull’identità del folle maniaco. La scopofilia di fondo esalta il bisogno di sfruttare (sin dal paratesto delle copertine fotografiche) gli elementi ossessivi, perversi e sessuali di queste storie; il secondo elemento è la spettacolarizzazione (similmente a quanto andava avvenendo sul grande schermo dopo le innovazioni introdotte da una pellicola seminale come Psycho del 1960) della morte, ricercata e descritta in maniere virtuosistiche che se ne fregano della trama e della coerenza di fondo del racconto e alimentano una fruizione, una lettura carica di sensazioni, una spettacolarizzazione narrativa di effetti e attrazioni. Il terzo punto essenziale si collega a questo e ne è quasi una conseguenza: se questa letteratura ha lo scopo di solleticare gli istinti (repressi) del lettore, di stimolarlo in un gioco di esagerazioni, la trama dei romanzi, lo schema narrativo di fondo è sempre minimo, semplificato, ridotto a segmenti quasi autonomi che ruotano attorno ai momenti pulsanti, alle scene di sesso & morte. Queste scritture, insomma, sono un festival letterario di astrazioni, psicosi, traumi, nevrosi e parafilie assortite.
La sua pelle straziata, del solito Dick E. Patterson (nelle edicole nel gennaio 1971). Anche questo è un interessante romanzo thrilling con ambientazione americana: questa volta siamo tra il Canada e New York. La trama, semplicissima, continua a disegnare i contorni di un’America cinematografica, abbastanza lontana da quella frequentata dal nostro thrilling cinematografico: alcuni giovani contestatori si sono rifugiati in Canada per sfuggire alla leva obbligatoria per il Vietnam; un misterioso assassino inizia ad appendere a testa in giù e sgozzare le loro fidanzate rimaste in America, quasi per volerli punire, o costringerli a tornare. Per la comunità di espatriati di Toronto si tratta di un folle fanatico delle dottrine di Nixon. Il resto del romanzo è un mix di sesso, orgasmi del folle maniaco, omicidi sadici, dialoghi improvvisati e psicologia alla buona, eppure è proprio questo che funziona, che lo rende divertente e molto più appassionante e genuino del 99% delle cazzate che si pubblicano oggi (il fotoromanzo che segue si intitola la spirale ed è un coacervo di vecchi amanti stagionati, disinibite ragazzine in calze di nylon e comunità di giovani drogati, il tutto in ambienti minimali che trasudano l’estrema povertà – e quindi l’involontario realismo - della messa in scena).
L’Italia non è messa in scena in questi romanzi, tutti ambientati come abbiamo visto in un’America alternativa e caotica. Tuttavia l’Italia è il paese in cui queste collane escono e si diffondono nelle edicole, sfruttando un periodo d’oro che non si ripeterà più per quella piccola, minuscola, editoria. L’Italia della Kermesse edizioni è un paese che all’alba dei settanta ci arriva con una geografia di squilibri economici e ritardi che pesano nel processo di unità economica. Questi squilibri inaspriscono le lotte sindacali e una conflittualità permanente nelle relazioni industriali. I conflitti che attraversano l’Italia di allora (carica ribellistica, rivoluzionaria), le gigantesche mobilitazioni operaie, le rivendicazioni del movimento giovanile, così come la violenza dei gruppi extraparlamentari di sinistra o quella squadrista dei gruppi neofascisti, segnano un mutamento di equilibri e una frattura democratica che si radicalizza in maniera paramilitare e che, anche solo come echi, o fantasmi di fondo, emerge anche nelle pagine ingiallite di questa collana da edicola. Alla fine dei ’70 si respira una fine generale delle ideologie che hanno alimentato quel decennio; l’Italia del dopo Moro si scopre stanca di quel clima di piombo, bisognosa di una nuova filosofia fatta di divertimento, disimpegno e riflusso. L’ubriacatura terroristica e ribellistica lascia dietro di sé una disaffezione per la politica, per i partiti e l’impegno civile e ai ragionamenti di Lotta Continua si preferisce la discomusic, alle utopie del ’68 la fuga tra le ansie metropolitane di una Macondo fatta di hashish e mercatini indiani. Ai dibattiti politici sulle condizioni sociali si preferisce concentrarsi sul privato, sul ballo, la nuova moda della cura del proprio corpo e del proprio benessere interiore.
I demoni 5 del marzo ’71, le belle e la belva è un thriller morboso incentrato su un bibliotecario di nome Philip eccitato dalla vista delle mutandine delle giovani di New York. Il nostro, alimentato da pulsioni feticistiche, commette atroci delitti di cui poi non ricorda nulla. Il giovane è proprietario di una libreria che spaccia, sottobanco, fotografie e servizi pornografici danesi o svedesi; è interessante vedere come, anche a livello narrativo, la diffusione piratesca della pornografia viene consumata da lettori occasionali sadici e perversi, mossi da una morbosa scopofilia misogina che fa da contrappunto (e forse anche da stimolo visivo) ai delitti osceni. Un problema analogo si porrà, in contesto italiano, per il caso del mostro di Firenze, vicenda più volte richiamata (o evocata, anticipata) da queste pubblicazioni da edicola.
Tuttavia anche le scritture thrilling mutano percorsi, come già ho evidenziato in altri contributi (sulla narrativa degli anni ’80 rimando a ciò che ho scritto su Richard Laymon e William Katz); a titolo di esempio cito il romanzo Il figlio di Sam, uscito per i tipi della Sperling & Kupfer nell’80 e tradotto da Maria Grazia Prestini: la trama riprende, con un taglio piatto e giornalistico, i delitti realmente avvenuti a New York tra il ’76 e il ’77 ai danni di alcune ragazze e coppiette. Gli autori, Jimmy Breslin & Dick Shaap, mettono in scena una società americana ormai uscita dal cono luccicante dell’Era dell’Acquario; le luci stroboscopiche delle discoteche invadono le strade semibuie del Bronx e del Queens; l’assassino è uno dei tanti sociopatici scartati e finiti ai margini di una società fredda e spersonalizzata; nel suo appartamento/bara coltiva una psicosi che lo convince di essere una marionetta nelle mani di un demone di nome Sam a cui tributare vittime sacrificali. Il Bernard Rosenfeld del romanzo passa il suo tempo in una stanza squallida e giornaletti porno sul letto, costretto a spiare, sotto la luce intermittente delle insegne, lo sciamare delle belle ragazze nel quartiere. Pur sullo sfondo, è possibile cogliere il cambiamento sociale e culturale in atto, in un pullulare di locali, buttafuori, ballerini e coppiette dalle aspirazioni piccolo-borghesi sorprese ad amoreggiare ai margini di giardinetti pubblici o margini slabbrati di una periferia dimenticata. Sono le strade, le insegne, le facce affamate di quella New York di perdizione fotografata da William Friedkin in Cruising, o nelle sortite americane di certo Lucio Fulci (su tutti penso al trucido Squartatore di New York).
Dell’occulteria mistica degli anni ’70 rimangono poche cose ormai in svendita (il medesimo discorso appariva in modo lampante nella narrativa marginale di uno come Lorenzo Alessandri), come i latrati dall’inferno dei cani demoni, mescolati alle sortite cimiteriali del killer e agli ultimi scampoli di un Greenwich Village abitato da pittori, scrittori e sette elitarie e aristocratiche che consumano un distacco schizofrenico dal presente. E così, mentre in Italia, tra Brigate Rosse in pieno delirio ed espropri di polli al Parco Lambro, si consuma la rivoluzione interiore, l’America del Figlio di Sam si prepara a diventare l’incubatoio alienante di quei bambini sperduti su cui la filosofia pagana di Charlie Manson aveva speso parole lucidissime. “Questi bambini che vengono da voi con i coltelli, sono i vostri bambini. Glielo avete insegnato voi, non io”. I vostri bambini, figli della tarda modernità, di quell’accelerazione del tempo imposta dalle società capitalistiche. Accelerazione tecnologica, sociale, del ritmo di tutte le nostre attività quotidiane. Ognuno di noi vive in un presente contratto, in cui l’occupazione non dura più la nostra intera vita professionale e i lavori cambiano e si deformano sotto il peso di una competitività senza limiti. Chi rimane indietro, chi non riesce a stare al passo, chi rimane fermo è come se cadesse all’indietro, se le sue competenze e la sua vita diventassero antiquati e anacronistici, forse persino indegna di essere vissuta. E le nuove politiche del XXI secolo sembrano non avere più lo scopo di migliorare le condizioni sociali di chi è rimasto indietro, prigioniero di un burn-out depressivo.
Ed è in questa alienazione dell’io, tra le pareti dell’inconscio che il figlio di Sam aggiorna il monito di Charlie Manson:
Salve
Mi chiamo
Signor Williams.
Vivo in questo buco
E ho molti figli
Che sto Trasformando
In assassini aspettate
Che diventino grandi
Ti piace il tuo ragazzo dagli occhi azzurri
Signor Morte?