Questa antologia, che meriterebbe la ristampa, raccoglie una serie di contributi piuttosto originali su questo classico tema: non sempre si tratta di racconti di pretta fs, ma il nome del curatore, Thomas M. Disch, garantisce l'alto livello stilistico, oltre a un filo conduttore di coltissimi e acuti commenti. Viene voglia di raccontare più le vite degli autori che i racconti... cercheremo di bilanciare.
Ecco una panoramica dei racconti più significativi.
Cosa ti danno in cambio dei tuoi soldi, di Brian Aldiss, è una tradizionale utopia politica: traccia un presente alternativo e si basa, come molte altre dell'epoca, su una risoluzione del conflitto arabo-israeliano (poteva apparire più facile: non era ancora avvenuta la guerra del '73).
15 utopie, di John Sladek. Sladek è uno dei più noti autori di fantascienza satirica; qui si scatena in una raffica di beffarde mini-utopie. Ho apprezzato per esempio Chi ben comincia è al (n/(n-1)) dell'opera:
«Il professor Lodeworm fece un'ultima messa a punto. "Se il mio raggio utopico funziona, la vita di ciascuno sarà trasformata in una spirale di gioiosa anticipazione. Ora l'accendo".
Il professor Lodeworm fece un'ultima messa a punto. "Se il mio raggio utopico funziona, la vita di ciascuno sarà trasformata in una spirale di gioiosa anticipazione. Ora l'accendo" (sic)».
Liberare l'ufficio, di Charles Naylor. Più che fantascienza, umorismo nero ricco di annotazioni psicologiche e sociologiche, espresso con dimesso lirismo. Naylor, poeta, era da pochi anni il compagno di Disch, e lo sarebbe stato fino alla morte per malattia nel 2005; triste evento che, come possiamo immaginare, contribuì a creare quella situazione che portò lo stesso Disch al suicidio.
Naylor è anche l'autore, sotto lo pseudonimo di Cassandra Nye, di Drumble: l'utopia qui è un villaggio inglese, preservato nei secoli come ricordo della vita bucolica, e visitato come uno zoo senza che gli abitanti se ne accorgano; anche se qualche volta il cielo si apre perché un tecnico scende a riparare qualcosa...
Ho sempre ammirato chi conosce lingue esotiche: figuriamoci chi le inventa! Perciò Il popolo di Prashad di James Keilty è la più affascinante scoperta di questo volume: per il suo valore intrinseco di utopia soprattutto, ma anche per la lingua e per le accurate mappe delle sue città e case disegnate dall'autore, personaggio che a sua volta merita approfondimento: lascio la parola niente di meno che a Samuel Delany, che in About writing scrisse:
«James Keilty apparteneva all'Ufficio Tecnico del Comune di San Francisco; aveva contatti con un circolo di scrittori degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta che comprendeva Robert Duncan e Richard Brautigan, molti dei quali di impronta sperimentale. Esteta gay di spaventosa cultura, morì di cancro ai polmoni nei primi anni Novanta. Era forse il più ossessivo di tutti, comunque: arrivò a inventare una lingua sua, completa di grammatica e vocabolario, nonché un paese immaginario dotato di una sua cultura. Scrisse racconti e teatro popolare nella sua lingua inventata, il Prashad. Cominciò un voluminoso romanzo nella stessa lingua. Arrivò a tradurre in Prashad classici della letteratura mondiale, come l'Amleto e Dalla parte di Swann. Nei primi anni Settanta ebbi la possibilità di assistere alla rappresentazione di tre degli atti singoli di Keilty in Prashad, dove gli attori recitavano dopo aver imparato il significato di battute dal suono vagamente slavo».
Non privo di sottile umorismo, il racconto ha la tipica struttura della narrazione di un viaggiatore che descrive e scopre con sguardo stupito, e delinea in modo convincente una società basata sull'assenza sia della famiglia imperniata sulla coppia, sia di strutture statali verticistiche: una cittadina nascosta in una valle himalayana, ma ben informata sul mondo esterno; dove vige il più stretto egualitarismo, ma c'è un'ampia libertà personale, soprattutto nei costumi sessuali. La popolazione è divisa in un migliaio di piccoli clan; non esiste matrimonio o vita di coppia istituzionalizzata, ma uomini e donne si incontrano in case dedicate al tempo libero e al piacere reciproco; se una donna rimane incinta, non solo non le importa chi sia il padre, ma importa poco anche chi sia la madre, perché dalla nascita il bambino verrà allevato dal clan, vera cellula autosufficiente di questa società.
Per quanto riguarda l'economia e il lavoro, la comunità è divisa in due classi (questo punto andrebbe approfondito) e i lavori agricoli pesanti sono svolti da popolazioni giunte dall'esterno.
Tutto sistemato di M. John Harrison è l'altro gioiello della raccolta, il racconto che mi ha fatto conoscere questo autore non abbastanza conosciuto in Italia. Un'allucinante visione di un'incarnazione di Dio in Terra, ma di un Dio alieno che non ha nulla a che fare con quelli che conosciamo; benefico, ma a modo Suo, perché come tutti gli dèi vorrà che i Suoi fedeli si facciano simili a Lui... e il psichedelico racconto dei tentativi di sabotarLo.
Su una linea simile, Bel tempo a Motor City, primo racconto pubblicato da Eleanor Arnason (in seguito paragonata alla LeGuin per i temi antropologici): una rinascita di sentimento religioso ha portato armonia e felicità persino a Detroit, la Motor City che nei primi anni '70 viveva il culmine delle sue tensioni razziali e della disoccupazione dovuta alla crisi dell'auto (problemi peraltro tuttora presenti!). Peccato che ci sia un prezzo da pagare: il concetto di capro espiatorio è essenziale in molte religioni... il principio morale per cui nemmeno per la felicità dell'intera umanità si giustifichi il martirio di una creatura negletta è poco praticato (forse dostoievskiano, ma lo esponeva bene la LeGuin in Quelli che si allontanano da Omelas).
L'arciere Zen, di Jonathan Greenblatt, è un delicato e preciso racconto della vita in un monastero nel Giappone medievale. Tutti i monasteri sono utopie in terra, per chi riesce ad adattarvisi, ma vulnerabili alle influenze esterne, che possono contaminare l'equilibrio interiore in modo sottile e letale...
Nell'Eroe come licantropo, Gene Wolfe propone una truce evoluzione dell'umanità in licantropi ed esseri umani: violenta, surreale e molto efficace.
Traduzione puntuale anche se non sempre chiarissima di Tullio Dobner; precipita negli ultimi racconti (va bene non tradurre Samarkand, e che i romanzi Dispossessed e Men in the Jungle forse non erano ancora tradotti allora; ma scalpel che resta "scalpello" anziché "bisturi", blue-tit che resta proprio così anziché diventare "cinciallegra"...).
Simpatica copertina di Oliviero Berni, il Karel Thole italiano almeno per versatilità; ma il tema meritava un'immagine più intensa, come quella originale.
La cover originale