L’opera che probabilmente meglio di altre ne mette in risalto contraddizioni e sfumature è il monumentale romanzo Moby Dick, di Herman Melville che, proprio a causa della sua complessità, alla sua pubblicazione fu un insuccesso clamoroso, prima di essere rivalutato negli anni Venti del secolo scorso. In Italia uscì tradotto da Cesare Pavese, che diede un grande contributo al suo successo nel nostro paese, trasformandolo così in una sorta di “manuale delle istruzioni” per capire gli USA e per capire perché ogni cosa che accade oltreatlantico rischi costantemente di ripercuotersi sul resto del Mondo.
Gli USA, è doveroso sottolinearlo, soffrono di una sorta di congenita schizofrenia, della quale facciamo tutt’ora le spese: da un lato poggiano le loro fondamenta su una Costituzione fortemente intrisa d’Illuminismo, ma dall’altro non riescono tutt’oggi a liberarsi degli aspetti più paranoici ed oscurantisti della cultura protestante. I Padri Fondatori, con la Dichiarazione d’Indipendenza prima e con la promulgazione della Costituzione poi, hanno messo in atto quella che sarebbe stata la prima vera rivoluzione borghese, anticipando di tredici anni la Presa della Bastiglia e scardinando così il concetto di Società ereditato di fatto dall’Età Feudale. La borghesia ha così rivendicato il suo diritto ad avere un ruolo attivo e riconosciuto sulla base dei propri meriti e non per Diritto di Nascita. Da qui il dibattito (ancora tristemente attuale) sulla libera circolazione delle armi, sancito da un emendamento costituzionale con lo scopo, all’epoca comprensibile, di mettere i borghesi sullo stesso piano dei nobili, a differenza di ciò che accadeva in Europa dove solo questi ultimi conservavano il diritto di portare armi.
Se però la Costituzione americana, figlia appunto dell’Illuminismo, esprime valori universali di tolleranza, rispetto, fratellanza, tutt’oggi condivisibilissimi, chi ha veramente costruito la nazione? Chi erano i famosi “Padri Pellegrini”? Erano tutti membri di congregazioni religiose sviluppatesi in seno alle Chiese Riformate, in fuga dalle persecuzioni di cui erano oggetto in Europa, dato che il mondo protestante si è spesso dimostrato rigidamente ancorato alla Bibbia, non lasciando spazio al misticismo ed alla spiritualità tipiche del Cattolicesimo. Da qui il pragmatismo che caratterizza il mondo anglosassone in generale e gli Stati Uniti in particolare: gli americani sono indubbiamente gente “pratica”, con una mentalità che spesso, a noi europei, appare talmente terra-terra da rasentare l’ingenuità. Alla base di tutto ciò e del loro leggendario “spirito pioneristico” c’è l’etica calvinista di autoaffermazione dell’individuo che non contempla il concetto di Peccato e Redenzione come nel mondo cattolico: la Salvezza deriva dalla Grazia e lo scopo dell’Uomo, oltre ad essere un buon cristiano, è lavorare e guadagnare, costruendo la sua posizione nella Società. Talvolta si ha quasi l’impressione che, a differenza del Cattolicesimo che si è sempre proposto come strumento di legittimazione del Potere di turno, ma con un certo senso della Storia, nel contesto delle chiese riformate manchi questo aspetto, motivo per cui già in piena Età Moderna si siano verificati episodi tragici come i processi per stregoneria di Salem o in alcuni stati del Midwest (non a caso la cosiddetta Bible Belt) esista ancora il reato di sodomia.
Arriviamo così a Melville: persona istruita e colta che frequentava ambienti letterari ed è stata legata da una profonda amicizia con Nathaniel Hawtworne, che, di punto in bianco, decide di imbarcarsi come baleniere. Melville metterà a frutto questa esperienza rielaborandola a modo suo e pubblicando, a metà Ottocento, Moby Dick. Ma che cos’è Moby Dick? In buona sostanza potrebbe essere definito un trattato che tenta, a modo suo, di conciliare la mentalità protestante di cui abbiamo parlato fino ad ora, con il dilagante Positivismo dell’epoca. Il XIX secolo è il periodo in cui si diffonde il Pensiero Positivo e con esso l’interesse per la Scienza, con il conseguente svilupparsi di forme di laicismo che mettono in discussione buona parte di ciò che è scritto nella Bibbia. Non a caso negli USA vi è ancora un aspro dibattito tra Creazionismo e Darwinismo, al punto che esistono ancora scuole dove si insegna ai bambini che il contenuto della Genesi è Storia, quando ormai moltissimi antropologi cattolici riconoscono che discendiamo tutti da Lucy, quando decise di scendere dal suo albero due milioni di anni fa.
L’impressione è che Melville abbia cercato, raccontando l’odissea della nave baleniera Pequod, comandata da quello che superficialmente può apparire come un pazzoide ossessionato dalla ricerca della balena bianca, di arrivare ad una sintesi tra questi due aspetti: cultura protestante e Positivismo, mantenendo tuttavia le sue convinzioni religiose, sottolineate anche dalla scelta del nome del protagonista/narratore: Ismaele, un nome assolutamente biblico. Forse non è nemmeno il suo vero nome, ma lui esordisce dicendo ai suoi lettori: "Call me Ismael" (chiamatemi Ismaele).
Spesso, forse in modo semplicistico, si è considerata la balena bianca una rappresentazione del Male, che trascina un uomo, il capitano Achab, alla follia, ossessionato com’è dalla sua sete di vendetta, al punto da non esitare a mettere a repentaglio l’incolumità della nave e dell’intero equipaggio pur di dare la caccia al capodoglio che gli ha già fatto perdere una gamba.
Al contrario di questa interpretazione, Moby Dick può essere letto come una perfetta metafora della collera divina, mentre il capitano Achab è l’uomo che non si rassegna ad essa e che vuole essere completamente padrone del proprio Destino, diventando quasi un archetipo della figura dell’Eroe Americano, ovvero l’individuo che appartiene solo a sé stesso e nemmeno a Dio, anticipando forse il Kowalski di “Punto zero” e ribadendo così il concetto, squisitamente calvinista, di auto-affermazione. Certo, vista la diversa sensibilità ambientalista che caratterizza la nostra epoca, può non apparire simpatico, tuttavia, tratteggiando sapientemente i lati più oscuri della mente di questo personaggio, Melville ha indubbiamente costruito un “ponte”, calando questa vicenda di follia quasi fine a sé stessa in quello che, leggendolo, può dare l’impressione di un pedante trattato para-scientifico di cetaceologia (sulla base delle scarse conoscenze di allora, che addirittura classificavano le balene come pesci) e di tecniche di caccia a questi meravigliosi animali.
Tuttavia Melville non si è limitato a tentare di conciliare la sua profonda Fede con l’entusiasmo per il Positivismo e per la Scienza, ma ci ha anche regalato un raffinatissimo affresco dell’eterogena umanità del multietnico equipaggio del Pequod, a bordo del quale, a metà Ottocento, non vi è spazio per nessuna forma di razzismo, trasformando il bastimento in un vero e proprio melting pot dove convivono e lavorano fianco a fianco cannibali polinesiani, nativi americani, indiani, greci, italiani, indiani ed ex schiavi afroamericani, guidati da un gruppo di sottoufficiali che Ismaele-Melville descrive con acuta raffinatezza psicologica, dando all’intera opera un taglio comunque intensamente epico.
Moby Dick è una pietra miliare, da affrontare senza fretta e senza aspettarsi ciò che non è, ovvero un banale romanzo d’avventura, tentando di coglierne ogni sfumatura, anche alla luce di tutto ciò che è stata la Storia degli USA nei centocinquant’anni successivi alla sua uscita. Allora, leggendo sui giornali di uno studente che compie una strage in un college armato di mitra, potrebbe venire da urlare: ”laggiù, soffia!”