Già, gli esseri umani, abili nel colonizzare la Luna, Marte e altri satelliti minori, incapaci come sempre di risolvere i grandi problemi, ma in grado di sfornare armi di ogni tipo, di dare vita a un olocausto totale e definitivo per mezzo di un'esplosione di violenza assoluta, nella quale niente viene risparmiato. E dire che nulla lasciava presagire il peggio, tanto meno sulle basi lunari delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e i paesi satelliti) e dell'Asse (l'Argentina e il Sudafrica), che osservavano con desiderio la Terra, quella sfera lucente e piena di vita, verso la quale tendere idealmente e con la speranza di poterci rimettere piede, prima o poi, per poter dire di essere finalmente tornati a casa. Quell’infausto giorno, purtroppo, sollevando gli occhi al cielo, sulla faccia oscura della Terra, gli uomini vedono apparire migliaia di piccole luci, ciascuna delle quali è una città in fiamme colpita a morte da una testata nucleare. Mille luci, quasi fossero fuochi d’artificio, a festeggiare la distruzione del mondo.
La Terra è distrutta, una grande palla radioattiva e inabitabile per centinaia di anni a venire è ciò che rimane. Gli echi di questa follia giungono anche sulle colonie, i superstiti sono pochi, mal assortiti e dalle idee discordanti: quale sistema di governo adottare, con che lingua comunicare, come garantirsi una discendenza o anche solo smettere di fumare diventano questioni complicate, che generano tensioni, sangue e morte. Può essere l’uomo tanto stupido da continuare a fare la guerra, dopo che ha praticamente distrutto il suo paese natale e dopo che il numero di chi è “in vita” è sceso da qualche miliardo a poche centinaia di persone? Marte è in mano all’Asse ed è governata dallo stesso dittatore che sulla Terra ha deciso di schiacciare il pulsante rosso, quello dell’inizio della guerra totale. Assieme a lui, praticamente prigioniero, l’ultimo Papa. Sulla Luna la situazione è quasi speculare, anche se le forze sono in mano a ciò che resta delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Ma anche qui non manca un uomo al comando, ambizioso e con idee di dominio, di sterminio, di annientamento totale della controparte. Chi sopravviverà? Chi annienterà il nemico? La risposta non è una sola, perché il conflitto è su più livelli, parte dal cuore, dai sentimenti, per ingigantirsi via via, fino a degenerare nell’epilogo finale.
Nella follia dilagante, Philip Jose Farmer ci guida con mano, morto dopo morto, ad un’unica considerazione: ma quando capiremo qualcosa? Ma l’uomo è fatto così, non pensa alla propria evoluzione, a salvaguardare il proprio futuro: è fatto per ammazzare o farsi ammazzare. Il senso di frustrazione è forte, quasi ci si chiede quando l’autore deciderà di porre fine all’escalation di violenza cominciata fin dalle prime pagine, ma il vortice non accenna a diminuire, i superstiti si assottigliano, le possibilità di garantire un futuro sembrano diminuire via via che la fine si avvicina, e la fine del romanzo combacia con quella della razza umana
Philip Jose Farmer è conosciuto come innovatore, capace di affrontare nei propri romanzi temi difficili come la sessualità, la religione, la razza. Il tempo dell’esilio mette assieme tutte queste cose, con un chiaro riferimento alla propria vita privata, cosa che si nota quando nel romanzo si diverte a spostare interi popoli, a mescolare razze ed ideologie. Del resto egli stesso era un insieme di tante nazionalità diverse: inglese, olandese e irlandese per parte parte di padre, scozzese, tedesco e cherokee per parte di madre. Non deve spaventare tutto questo, così come lo stile un po’ desueto della scrittura, uno dei limiti evidenti del libro, perché una volta superate le prime cinquanta pagine tutto scorrerà via liscio, verso la fine. Già, ma quale fine?
Il tempo dell'esilio è un libro polemico, un atto d’accusa verso la bramosia guerriera che talvolta spinge l’uomo ad accanirsi verso i propri simili, anche a scapito di un olocausto finale: potrà essere una guerra privata, tra due uomini, la guerra per una donna o per il governo di una colonia, per il controllo di un intero pianeta, ma nulla potrà fermare la follia di una razza che sembra solo attendere quella che le succederà nella scala evolutiva. Non temete, Farmer ha pensato anche a questo e tutto sommato non credo sia andato così lontano da una possibile verità.
l tempo dell'esilio è un caleidoscopio, un insieme di luci multicolori che abbagliano e colpiscono, talvolta stordiscono: amore, sessualità, religione, politica, pogrom e molto altro, difficile pensare che sia solo uno dei tanti libri di fantascienza usciti nel secolo scorso. Eppure è un libro di fantascienza, con tutti i limite del caso, acuiti da una scrittura che si perde in inutili dettagli, in descrizioni di sparatorie che annoiano ed appesantiscono la lettura. Non resta che portare pazienza, le cose interessanti hanno spesso qualche difetto da sopportare. Curiosi? Voglia di leggerlo? Peccato sia difficile procurarsi il libro, visto che dal 1973, da quando la Libra lo pubblicò nella collana Slan con la traduzione di Ugo Malaguti, nessuno ha più avuto il coraggio di riprovarci.