Poi però può capitare di leggere un racconto come Il premio del pericolo, scritto da Robert Sheckley nel 1958, ed imbattersi in un personaggio che segue un programma tv su un dispositivo portatile simile ad un palmare, o un tablet, e scoprire che è il protagonista di quello che oggi chiameremmo un reality show, il suo ruolo è quello di soddisfare la curiosità morbosa di un pubblico che ama seguire ledisavventure di persone prive di particolari qualità, con le quali possa davvero identificarsi. Naturalmente non tutta la narrativa di Sheckley è dotata di queste sorprendenti facoltà di precognizione, ma queste non sono le sole che la rendono più attuale e godibile che mai. Il suo è uno dei nomi di punta di quella che venne definita “social science fiction”, una scuola attraverso la quale la fantascienza riallacciò i rapporti con le sue radici più colte ed impegnate, quelle di H.G. Wells, Orwell e Huxley, e, senza trascurare l’elemento avventuroso, propose un atteggiamento consapevole e critico nei confronti dei problemi sociali contemporanei, con uno sforzo che adesso può spesso apparire ingenuo ma che fu tanto coraggioso quanto necessario, dato che proveniva dall’America degli anni ’50, il periodo del maccartismo. Fra gli autori che esordirono in quegli anni, e che si radunarono principalmente intorno alla rivista Galaxy, vale la pena ricordare anche Frederik Phol, Theodor Sturgeon, Philip José Farmer e l’ormai ampiamente rivalutato Philip Dick.
I personaggi dei racconti e romanzi di Sheckley sono tutti molto simili a quello del racconto citato poc’anzi, persone comuni, mediocri, dall’esistenza ordinaria ed incolore, assomigliano un po’ a tutti noi quando ci adagiamo mollemente sulla pigrizia ed il quieto vivere, ed è facile immedesimarsi in loro quando l’autore inventa le più grottesche , sorprendenti e geniali peripezie alle quali sottoporli. Sheckley era dotato di fantasia e creatività davvero portentose, che gli permettevano di sfruttare al meglio le infinite potenzialità della fantascienza, per escogitare trovate paradossali e situazioni spiazzanti, inanellate a ritmo vorticoso. Per questo mi sento di consigliare a tutti la lettura delle sue storie: sono avvincenti, conquistano dopo poche righe e si leggono d’un fiato, ed inoltre sono davvero divertenti, spesso al limite dell’esilarante. La satira ed il sarcasmo dissacrante erano le armi principali di Sheckley. Non ci sono però né freddezza né cinismo nel modo in cui maltrattava i suoi anti-eroi, la cui umanità risalta proprio per contrasto con le loro vicende così assurde, bensì molta empatia, questo calore traspira chiaramente dalle sue pagine e credo sia uno dei motivi per cui i pochi estimatori che ancora lo leggono si sentono legati a lui da un rapporto quasi intimo di simpatia ed affetto.
Per quanto stralunata ed imprevedibile la narrativa di Sheckley ha molto di familiare. Lui ci ha raccontato dei pericoli che vengono dall’affidarsi completamente ad una tecnologia sempre più pervasiva, invasiva ed alienante, dal delegare al libero mercato ogni aspetto, anche il più intimo, della nostra esistenza. Il suo ammonimento è più attuale che mai, le mille peripezie cui sono sottoposti i suoi personaggi sono una declinazione iperbolica della vita sempre più incerta dei cittadini dell’odierna società liquida e globalizzata, isolati e privi di punti di riferimento, vessati dall’economia neo-liberista che impone cambiamenti sempre più rapidi e genera una condizione di sempre maggiore precariato, non solo economico, ma anche affettivo e morale.
Anonima aldilà è il primo romanzo di Sheckley, pubblicato nel 1958, il suo stile è forse ancora un po’ acerbo e perciò questo è uno dei suoi romanzi migliori. Mi spiego: le caratteristica principale della sua scrittura era il ritmo adrenalinico che, unito alla bizzarria delle sue invenzioni, conferiva spesso un tono surreale alla narrazione; questa sua “velocità” (in cento delle sue pagine ci sono tanti spunti quanti se ne trovano in intere saghe di altri autori) lo rese particolarmente abile nei racconti brevi (se vi capitano fra le mani antologie quali La decima vittima o Mai toccato da mani umane non esitate a farle vostre) ma poco adatto alla lunga distanza dei romanzi. Il suo romanzo di esordio funziona perché ha un passo serrato ma molto più lineare, che tiene perfettamente fino alla fine, l’ironia è già ben presente ma non ancora così velenosa e debordante. Lo si può definire un thriller (Sheckley si cimentò anche con questo genere letterario) di ambientazione fantascientifica, ricco di tensione, colpi di scena, diviso in brevi capitoli in maniera da tenere viva la suspense; la scelta di farlo uscire a puntate sul già citato magazine Galaxy fu quanto mai azzeccata. Thomas Blaine ha trentadue anni e si lamenta di essere morto in maniera banale, così come era vissuto… Evidentemente c’è qualcosa di anomalo, Blaine è di nuovo vivo ma si trova in un corpo diverso dal suo ed è stato proiettato dal 1958 al 2110. Sheckley si cimenta con successo con il tema più misterioso, inquietante ed ambizioso, quello della morte. Nel 22° secolo la scienza è in grado di gettare una parziale luce sull’enigma della morte, sull’esistenza dell’aldilà e di una dimensione intermedia fra i due mondi. La tecnologia offre la possibilità di aiutare la sopravvivenza della mente od il suo impianto su un corpo più giovane e sano. Anche l’evento più misterioso ed ineluttabile finisce per venire gestito dal potere economico, l’immortalità è un gigantesco business, viene garantita da delle multinazionali che, dopo aver occupato ogni spazio nella vita delle persone, offrono a caro prezzo anche questo tipo di servizi. Un simile scenario viene descritto in tutte le sue implicazioni: morali, religiose, legali, in maniera lucida e coerente, senza che si perda il filo dell’azione. Blaine capisce subito di trovarsi lì per sbaglio, non era lui che avrebbe dovuto essere prelevato dal passato. In breve la sua presenza diventa scomoda, si trova preso in mezzo ad un intricato conflitto fra corporazioni, organizzazioni religiose, fantasmi capricciosi, zombie inquietanti. E’ costretto a nascondersi e scappare in un mondo sconosciuto e per nulla ospitale. Fra i tanti personaggi ambigui che incontra ve ne sono alcuni che riescono rocambolescamente ad aiutarlo, ma alla fine la morte torna a chiedere il conto anche a lui, in maniera però assolutamente sorprendente. Perché così funziona con Robert Sheckley, quando iniziate a leggere un suo libro sapete già cosa vi aspetta: di tutto. Lo ripeto e lo sottolineo: di tutto!