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I capolavori della serie KKK Classici dell’Orrore: La fossa dei serpenti

Lunedì, 19 Aprile 2021

La fossa dei serpenti esce nelle edicole il 20 settembre del 1969. Lo scrive, al solito, Laura Toscano, celatasi per l'occasione dietro lo pseudonimo di Barbara Lee. Si tratta di un thrilling a metà strada tra quelli per faccende monetarie alla Mario Bava e quelli psicologici di Robert Bloch… Dario Argento non ha ancora fatto la sua comparsa, però La fossa ne anticipa certe derive violente, il gusto estetico di alcuni omicidi, cose così.

Tuttavia questo n. 123 ha un altro grande interesse: la trama gira intorno a una clinica per malati mentali, una clinica isolata su un isolotto nel mezzo di un lago. Vegetazione, canneti, paludi che fanno da corredo ai vari delitti. La solita carrellata di degenti assortiti (ninfomani, stupratori di bambine, sonnambule, alcolizzati, tossicomani, tutti però con dei cospicui patrimoni alle spalle, cosa che fa pensare appunto a certi thrilling alla Bava, dove la psicopatia si lega agli interessi economici, a una visione negativa e materialista dell’essere umano), impiccati che scompaiono, corpi divelti che riemergono dalla vegetazione, stupri, autoerotismi femminili, un assassino che mutila e infierisce sadicamente sui corpi, sugli occhi. Il campionario da venditori ambulanti è al completo e la Toscano li almanacca con la consueta rapidità ed economicità. L’interesse questa volta non sta tanto nel ripetere l’efficacia (truffaldina) di questa letteratura d’accatto e minore (per questo più sincera, divertente e utile di tutte le pappardelle letterarie del thrilling di oggi); “La fossa” ha un valore aggiunto che sta proprio nel mettere in scena questo “asylum” atipico, ennesima istituzione chiusa e asfittica, perfetta per ambientare una serie di omicidi e mutilazioni.

Nel thrilling le istituzioni totali ci stanno bene: la clinica per viziose de La bestia uccide a sangue freddo (1971), il manicomio di 4 mosche di velluto grigio (1971) e ancora l’Argento di Trauma, l’asylum farmacologico di Halloween (1978), passando per gli accenni di Edge of the Axe, e alcuni interessanti slasher degli anni zero come Boogeyman 2 (2007) o Madhouse (2004). Il manicomio della Toscano non è all’apparenza il luogo concentrazionario descritto da Erving Goffman (1961) e nemmeno l’asylum gelido del Robert Bloch di Il regno della notte (1974). Là i pazienti venivano spogliati della loro identità, affidati a un rituale clinico che riduceva la personalità soggettiva in un carnevale di regole, regolamenti, proibizioni e punizioni che avevano il solo scopo di ridurre i corpi a oggetti indistinti e standardizzati. I pazienti dei manicomi degli anni ’60 sono alleggeriti dai loro vestiti, dai capelli, dalla cura del proprio corpo, mutilati nel sé, affidati a medici e infermieri che li accudiscono come bambini indesiderati. Il manicomio del dottor Akerman (psichiatra all’apparenza bonario e insignificante, in realtà novello Caligari) sembra lasciare i degenti a proprio agio nei risvolti della loro follia, mitigati all’apparenza da blandi medicinali.

Il manicomio della Toscano è sul crinale della letteratura, tra realtà (poca) e cronaca, indeciso se scivolare nel passato mutilatorio dell’internamento coatto, o adagiarsi nel modello terapeutico post-Basaglia. Quel che è certo è che “La fossa dei serpenti” è interessante per notare questo passaggio da un’idea del manicomio come luogo fisico isolato (l’isola, la palude, le mura, i locali, le mansioni, gli orari, i set della cura mentale, le deprivazioni varie) e concreto, alla sua smaterializzazione. Dopo Basaglia il manicomio, in questi anni digitalizzati, è divenuto un luogo fantasma in cui il corpo malato fra psichiatra e paziente si è fluidificato; la manicomialità moderna è altrove, nei farmaci che ognuno può comprare in farmacia con una ricetta, nella panacea della psicofarmacologizzazione di massa, con persone imbottite di antibiotici, antipsicotici, antidepressivi. In fondo la bonomia del dottor Ackerman è ancora qui, nella creazione di persone indifferenti e passive, dalla libido sparita, dalla sessualità regressiva, dal bisogno di resistere ai ritmi totalizzanti di un lavoro che ormai non ha più bisogno di fasce, chiavistelli, muri, sbarre, per rinchiuderci tutti nelle celle imbottite delle nostre abitazioni.

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