Dall’aprile 1981, la prestigiosa Sovetskaya Literatura, il mensile culturale dell’Unione degli Scrittori dell’URSS, pubblica, per festeggiare il ventennale del lancio nello spazio di Yuri Gagarin, una rubrica intitolata All’incrocio del le vie stellari, dedicata alla fantascienza e curata dall’astro nauta e pittore Alexei Leonov.
Di più , l’intero primo numero del 1982 (fasc.277) della suddetta rivista è interamente dedicato alla science fiction, con racconti degli autori attualmente più in voga e con saggi di storici e critici letterari sovietici. Tutto questo a mostrare un interesse culturale per la fantascienza che non ha riscontro in tutto il mondo occidentale.
La sscience fiction in URSS e in altri paesi socialisti (si veda il caso della Polonia, che vanta uno scrittore del calibro di Stanislaw Lem) è davvero entrata nell’Accademia, cosa che non si riesce a ottenere in nessun’altra nazione. Nonostante gli interventi in tal senso di personalità conosciute a livello mondiale, quali Baudrillard, Suvin, Frye, Scholes, Goimard e, in Italia, Solmi, Spagnoletti, Dorfles, Petronio, la science fiction non riesce evadere da un campo di indagine puramente sociologico, rimanendo relegata nell’ambito della letteratura popolare (e/o di massa e/o di consumo).
All’origine di questa diversità di atteggiamenti, c’è ovviamente una diversità di fondo, costituita dalle differenze essenziali tra la fantascienza sovietica e quella “occidentale”. Per l’Unione Sovietica, questa deve costituire uno sguardo sull’uomo e sul suo avvenire; deve essere una speculazione e un’extrapolazione che riguarda la società; di conseguenza deve anche prefigurare l’avvento del socialismo, perché in questo senso – secondo la dialettica marxista – si evolvono sia la società umana, sia quelle sempre di origine umana che hanno sede in pianeti colonizzati, sia addirittura quelle extraterrestri o aliene.
Così non è raro trovare racconti di science fiction sovietica basati sull’incontro con extraterrestri più evoluti, che si risolvono in un abbraccio (diversamente da quanto avviene, cioè una guerra all’ultimo sangue, nella fantascienza di tipo angloamericano: La guerra dei mondi di Wells ne è il prototipo e l’esempio più immediato) tra umani ed esseri che respirano “fluorina”, in quanto questi ultimi hanno già raggiunto lo stadio di società comunitaria e sono quindi “fratelli” (L’incontro su Tuscarora di Efremov). Questo modo di vedere le cose (la fantascienza) è pressoché assente nella narrativa fantascientifica americana, che privilegia invece la critica alla società e alla scienza, quest’ultima vista o come dannosa in se stessa, o almeno come male usata. Una siffatta critica non è peraltro assente nella science fiction sovietica, nella quale comunque la scienza è necessaria e la tecnologia permette un avanzamento; solo, è costantemente accompagnata da un’alternativa positiva.
Mentre gli americani distruggono, i russi costruiscono, con una buona dose di fiducia positivistica e utopistica. Inoltre, la science fiction di stampo anglosassone, e quindi, di riflesso, la minore produzione francese e italiana (quest’ultima in misura molto inferiore), preferisce in modo abnorme la produzione avventurosa fine a se stessa, da letteratura d’evasione, caratteristica questa che le deriva dalla sua origine storica di narrativa prodotta per la massa, venduta nelle edicole, da leggere in treno o alla sera tanto per conciliare il sonno.
Una simile evoluzione non si è avuta in Russia, dove la science fiction ha da sempre trovato spazio sulle riviste letterarie. Secondo gli storici della fantascienza americana, questa, dal suo apparire (anni venti) ha attraversato diversi fasi, connesse anche al modo di intendere il termine “scienza”. La prima è di stampo avventuroso/epico, direttamente collegata al positivismo ottocentesco e alla tradizione letteraria del meraviglioso e del viaggio in terre sconosciute.
La seconda fase è scientifico/tecnologica, tutta tesa a mostrare i prodigi delle nuove scoperte e invenzioni. La terza (dopo Hiroshima), ribalta completamente la precedente e si preoccupa di mettere in luce i pericoli della scienza e le contraddizioni della società capitalistica, legandosi all’utopia negativa o antiutopia, che insieme a Huxley e Orwell ha nel russo Zamjatin uno dei fondatori. La quarta, quella attualmente perdurante, sia pure con rigurgiti e correnti più vicine alla fantascienza tradizionale, è la fase in cui viene preso in esame l’individuo piuttosto che la società e si innestano nello status preesistente certe tematiche filosofiche di origine mitteleuropea. In Unione Sovietica non sembra invece esserci stata alcuna evoluzione, e la science fiction sembra essere da sempre cristallizzata in un corpus di tematiche che, con varie sfumature e con diverse eccezioni, richiama le prime due fasi statunitensi. Si può portare ad esempio la presentazione apparsa sul fascicolo di ottobre della Sovetskaya Literatura al già cita to numero speciale:
“La Sovetskaya Literatura dedica integralmente il suo primo numero (277) del 1982 alle meravigliose creazioni degli scrittori sovietici moderni di science fiction, uomini audaci che predicono ed esplorano l’avvenire... Victor Hugo credeva con fervore ai sogni temerari degli umani, che per primi fanno, secondo lui, dell’utopia di oggi una realtà di domani... Il noto scrittore sovietico Kostantin Fedin ha praticamente sviluppato il pensiero del grande scrittore francese dicendo che la science fiction è in definitiva un ardito compito posto alla scienza e alla tecnica. (...)”
È più che evidente che l’influsso che ha avuto sugli scrittori sovietici un autore quale Giulio Verne, vero narratore del positivismo, convinto assertore dei concetti di scientismo e progressismo. Verne del resto, è stato ed è ancora uno degli stranieri più tradotto in URSS, e ben visibile è la sua influenza per esempio in Ciolkovskij tra i primi scrittori di fantasie scientifiche che vi siano stati in Russia. L’intero discorso finora fatto vale naturalmente come regola generale, e dunque ammette delle eccezioni. Autori come i fratelli Strugackij, i più noti fantascrittori sovietici, hanno bene in mente il modello americano, il che li porta a comporre opere di largo respiro con una vena polemica contro la società, rinnovando in qualche caso, tanto per restare nel campo, la satira di un Bulgacov. Dneprov si mostra sovente antiscientista alla pari dei suoi colleghi americani del dopoguerra; esemplare in questo senso è l’ottimo racconto I granchi dell'isola, forse il più conosciuto racconto di science fiction russa pubblicato in Italia, che prende non a caso a modello un oppositore di Verne, l’H.G. Wells de L'isola del dottor Moreau.
E ci sono altri casi.
La science fiction sovietica si presenta dunque abbastanza variegata, al pari di quella degli altri paesi. Anche se la corrente principale mantiene le caratteristiche che si è cercato di evidenziare, con varie science fictionaccettature che vanno dalla narrativa sognante e romantica della Zuravleva ai tentativi di speculazione di un Kazancev, convinto assertore di un contatto con gli extraterrestri; sia dal “romance” fortemente emotivo riguardo ai misteri del cosmo e nel contempo stimolante, utopistico e futuribile di un Efremov, a quello non scevro di scopi didattici e moralistici di Baljaev.
In conclusione, la narrativa “scientifico fantastica” ci appare molto legata a concetti esattamente scientifici (fisici, astronomici, biologici), didascalica e, per la cultura occidentale, alquanto carente nell’intreccio e nella trama. Vero esempio, quindi dello “zdanoviano” realismo socialista. Il che, da un lato, come dicevo all’inizio, fa si che non si possa parlare di un genere narrativo “popolare”, allo stesso modo che per la science fiction in occidente, dall’altro non ne facilita certo l’esportazione. Non a caso gli autori più tradotti (in testa gli Strugackij) sono quelli più vicini al modello euroamericano.
Altra difficoltà è quella della lingua. Per questi motivi, la fantascienza sovietica è tradotta poco e male, anche in Italia, dove dopotutto si ha una mole di pubblicazioni superiore che negli altri paesi. I dati della bibliografia parlano chiaramente di traduzioni dall’inglese, di inserimenti in antologie solo perché si compra in toto un’antologia come 14 racconti di fantascienza russa non fa nessuna ricerca storica, ma è stata tradotta a caso tra quelle allora appena pubblicate in Unione Sovietica. E la sua pubblicazione ha come movente il fatto che Feltrinelli voleva rispondere sul piano editoriale alla celebre antologia einaudiana Le meraviglie dell'impossibile. Anche i fascicoli speciali di Galassia sono stati redatti in base alla disponibilità di opere russe sul mercato americano.
D’altro canto la rivista Fantascienza Sovietica (comunque un caso davvero unico nell’editoria mondiale), che pure avrebbe potuto essere strutturata in modo da rispettare le esigenze di documentazione, con l’inserimento di un corredo critico e una scelta più oculata (sulla base della validità dell’autore o del racconto) del materiale narrativo, non fa nulla di tutto ciò, ma si limita a proporre racconti appena stampati in URSS. (Aggiungerò senza commento, che la stessa casa editrice aveva una collana parallela di spystories, I gialli veri sovietici). In ogni caso, pur con i limiti che ho elencato, si riesce ad avere un quadro completo di quello che è la fantascienza sovietica. Resterebbe, semmai, da aggiornare la situazione, visto che, a parte poche eccezioni, c’è ormai un vuoto di pubblicazioni da quindici anni.