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«Fuori dello spazio e del tempo, ognuno chiuso in un suo limbo, esistevano i pianeti chiamati Terra. […] Uno era composto quasi esclusivamente di oceani, con poche foreste di alberi giganteschi, distorti, che crescevano nell'emisfero nord; un altro sembrava immerso in un crepuscolo perenne: un pianeta d'ossidiana scura; un altro ancora era un nido di cristalli multicolori, e un altro possedeva un unico continente che formava un anello di terra attorno a una grande laguna. I relitti del tempo, abbandonati, moribondi. […]
Indossava una camicia hawaiana, calzoncini da spiaggia color oro, un paio di scarpe da ginnastica logore, e un berretto da giocatore di baseball. Pesava almeno centoventi chili ed era alto più di un metro e novanta. Un uomo grosso. […]»

Homunculus è l'unico romanzo scritto da Gianni Roghi, scrittore e giornalista, inviato speciale del settimanale «L'Europeo», campione di caccia subacquea e di sci, etnologo, biologo, ma soprattutto sommozzatore e pioniere dell'archeologia sottomarina. Una vita impegnativa e indubbiamente spericolata, che lo portò troppo presto e in maniera epica al cospetto di Caronte: il 3 marzo 1967 viene investito da un elefante impazzito durante un viaggio nella Repubblica Centro Africana. Una settimana dopo muore nell'ospedale di Bangui, all'età di quarant'anni. Giorgio Bocca, su «Il Giorno» del 12 marzo 1967, ebbe modo di scrivere: «...era soprattutto un uomo intelligente, troppo intelligente per identificarsi in una qualsiasi professione». Pochi anni prima, nel giugno del 1963, Roghi aveva scritto un articolo per «L'Europeo» dal significativo titolo: Dov'è la coscienza? Dibattito su un problema affascinante della scienza d'avanguardia: il peccatore biochimico. E in questo romanzo, in continuo bilico fra quello che oggi si definirebbe "noir" e qualcosa simile alla sindrome di Frankenstein, Roghi ipotizza la "realizzazione" di un super uomo geneticamente modificato tramite l'alimentazione della futura madre1. Significativa la scelta del nome del protagonista, lo scienziato autore dell'esperimento Giovanni Rogus, fusione tra il cognome dello scrittore e la parola latina rogus. Rogus con il significato di "preghiera, petizione" è vocabolo ignoto al latino classico, che registra invece, nello stesso senso, rogatus2. Nell'età medioevale, il termine figura in un notevole numero di esempi , tra i quali (in senso figurato) è interessante segnalare "ceneri, spoglie mortali".

«Il pavimento del mondo era increspato come il fondale di un oceano. Il Sole al tramonto inchiostrava di ombra violetta ogni increspatura. [...] L'orizzonte orientale era una muraglia azzurronera sotto un arco ampio e basso di ruggine corrosa, le cui estremità sprofondavano in lontananza, a destra e a sinistra. [...]
E verso quell'orizzonte correva l'amsir. I piedi dalle grosse dita unghiute sbattevano e frusciavano tra le increspature, sollevando effimeri sprazzi di sabbia grossolana che subito ricadevano [...] Teneva un giavellotto dall'asta metallica stretto contro il torace, con le mani munuscole che spuntavano a metà delle ossa principali delle ali.
Honor White Jackson lo stava inseguendo, e aveva un'opinione diversa, ma l'amsir era bello».
In questo lirico scenario fuori dal tempo e lontano nello spazio, inizia la sfida mortale tra il giovane del popolo della Spina e l'amsir, strano umanoide del deserto. Ma al di là dei colori esotici e della dettagliata biologia aliena, perché questo romanzo minore di Algys Budrys mi incantò tanto da adolescente?

Riscoprire libri dimenticati significa anche ritrovare personaggi che hanno contribuito a fare la storia dell'editoria in Italia: una storia discreta e non strillata – lontana dalla luce dei riflettori perché poco interessante per i più – ma preziosa per ripercorrere il nostro passato in una prospettiva insolita, come abbiamo già osservato parlando della straordinaria avventura dei piccoli editori romani "d'assalto" degli anni Sessanta. La collana «Sotto accusa», pubblicata da Fabbri nel corso del 1973 e destinata non solo alle librerie, ma anche alle edicole, comprende due serie, una di romanzi (profilata in rosso) e una di inchieste (in nero). Tra gli autori dei romanzi, tutti thriller "di costume" calati a fondo nella scottante e contraddittoria società italiana dell'epoca, compaiono Enrico Vaime (Novanta di gradimento), Giuseppe Pederiali (Povero assassino), Inisero Cremaschi (Le mangiatrici di Ice-Cream), Luciano Anselmi (Il commissario Boffa), Giuseppe Bonura (Morte di un senatore), Gaetano Gadda (Il complice del suicidio), Vieri Razzini (Terapia mortale, da cui Lucio Fulci trasse il memorabile film Sette note in nero, del 1977).

Povero Cristo è un romanzo bizzarro e non facile da decifrare. Un amico mi ha confessato di averlo addirittura strappato in due e scagliato contro il muro senza finire di leggerlo, tanto gli dava sui nervi e gli pareva stupido e incomprensibile (ma era giovane e intemperante: in seguito se ne pentì). Non che sia un libro difficile da intendere alla lettera, tuttavia è un libro che, proprio se preso nel suo significato letterale, risulta come minimo naif (e pesantemente trash). Vorrei proporre un'interpretazione che in parte lo riscatta, ma posso affermare che Carpi qui ha fallito, perché non è un'opera riuscita quella che richiede di discostarsi troppo dal significato apparente. O meglio, quella il cui significato apparente non sia pienamente godibile in sé.

Lo confesso, non sono la persona più adatta a recensire in maniera neutrale e sincera un libro di Emilio de’ Rossignoli. Dopo mesi di ricerche, indagando e curiosando tra il molto materiale cartaceo e il poco della sua vita privata giunti fino a noi, non riesco a dimostrarmi obiettivo nei suoi confronti, trova ancora oggi il modo di... turbarmi e viziarmi, magari sotto un quarto di luna.

Charles William Goyen (1918-1983) nasce a Trinity, in Texas. Il Sud degli Stati Uniti rimarrà sempre il paesaggio fondamentale e imprescindibile in cui vivranno i suoi personaggi e le sue storie. Goyen conoscerà fortuna principalmente in Europa, tanto da considerare la propria sensibilità di tipo europeo1. Anche se non riuscirà mai a mantenersi con la sola scrittura, i suoi libri verranno stampati e ristampati nel vecchio continente. In Italia, solo La casa in un soffio e i due terzi delle raccolte dei suoi pregevoli racconti, Il fantasma e la carne e Se avessi cento bocche, editi da Theoria, su cui sarà necessario tornare.

Ignácio de Loyola Lopes Brandão è uno scrittore e giornalista brasiliano, nato ad Araraquara nel 1936. Un autore quindi apparentemente molto lontano dall’Italia, a cui in realtà deve molto. La sua notorietà comincia con il romanzo Zero, pubblicato in prima mondiale da Feltrinelli nel 1974. Scritto con il titolo A inauguraçao da Morte, venne poi alleggerito e tagliato diverse volte, prima della sua forma definitiva. A tali modifiche contribuì Jorge de Andrade, amico di Ignácio de Loyola, che lo mostrò poi a Luciana Stegagno Picchio, all’epoca insegnante di Letteratura Portoghese e Brasiliana all’Università di Roma1. La filologa e medievalista lo segnalò alla casa editrice milanese, che coraggiosamente lo pubblicò nella collana I Narratori con la traduzione di un giovanissimo e già bravo Antonio Tabucchi.

Due cose vanno dette subito. La prima: Un’ombra nell’ombra (1974) è un romanzo splendido che consiglio di leggere senza pregiudizi e possibilmente senza sapere nulla della trama, per godersi di più il raffinato crescendo di suspense. Chi vuole osare, tralasci questa recensione, nella quale comunque cercherò di svelare il meno possibile, e corra a cercarlo. La seconda: Pier Carpi ne ricavò un film (Marco Giusti in Stracult1, bibbia del trash italiano, dice che fu «girato nel 1977, ma non chiuso prima dell’intervento del produttore Piero Amati», che tolse la regia a Carpi). A detta di tutti, un film brutto (nonostante il cast grandioso per un progetto simile: Valentina Cortese, Irene Papas, Marisa Mell), anche se non al punto da essere assunto nell’Olimpo dei veri cult, e significativamente diverso dal romanzo in alcuni passaggi fondamentali.

Vonda McIntyre è una scrittrice americana e genetista. Salì potentemente alla ribalta nel 1973 quando la sua opera breve Of Mist, Grass and Sand vinse il Premio Nebula, nella categoria Novelette. Questo racconto lo utilizzò in seguito come capitolo iniziale di DreamSnake, Il Serpente dell’Oblio, nell’edizione italiana.

La collana di fantascienza «Presenze del futuro», inaugurata dall'editore Giovanni De Vecchi nel 1979, non ebbe successo e s'interruppe nello stesso anno dopo tre sole uscite, dunque merita la simpatia, la solidarietà e l'omaggio che è giusto tributare ai bei progetti naufragati. I tre titoli sono: Fronte del Sole di Peter e Caterina Kolosimo (contenente il romanzo breve di Peter che dà il titolo al volume e alcuni racconti di Caterina); Eclissi 2000 di Lino Aldani (anche questo con l'aggiunta di racconti) ed Esperimento donna di Gilda Musa.

Pubblicato nel 1972, Il Gregge Alza la Testa fa teoricamente parte di una trilogia di libri in cui John Brunner affrontava temi sociali fondamentali, proiettati in scenari fantascientifici futuri. I tre libri sono Tutti a Zanzibar (1968, vincitore del Premio Hugo 1969), L'Orbita Spezzata (1969) e questo Il Gregge Alza la Testa giunto in finale del premio Nebula 1972.

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