Alla fine degli anni '60 siamo molto lontani dall'ottimismo asimoviano, diretto discendente della fiducia che gli ebrei praghesi avevano nel Golem, loro difensore. In alcuni casi l'uomo viene più o meno gentilmente messo da parte dall'intero sistema produttivo perché obsoleto (come nel tragicomico Nuovo Babbo Natale di Brian Aldiss); più spesso la tradizionale paura di costruire qualcosa di più potente di noi si rivela istantaneamente esatta: è il caso della famosa Risposta di Fredric Brown, che non è il caso di riassumere essendo lungo una pagina. Oppure dello straziante Ti ho fatto io di Miller jr, che ci porta nella mente di un invincibile cyborg che non riconosce più i suoi padroni, e ci mostra con allucinata chiarezza (in soggettiva) la sua intera visione del mondo, una mente primitiva in cui l'addestramento militare ricevuto è diventato qualcosa di sacro. Oppure del bizzarro Poema in versi sciolti di tal Benet (qualcuno su aNobii lo ha definito il più brutto brano di fantascienza mai letto... a me è sembrato divertente, nel suo Kitsch). O infine della Scommessa di Gordon R. Dickson, classico racconto basato su logica ferrea, un po' asimoviano, dove l'uomo viene condannato dalla sua stessa capacità di superare la logica con i paradossi.
Insomma, l'uomo non prevarrà né per forza, né per intelligenza: potrà forse prevalere solo con la demenza, come ci ricorda Scheckley nel suo brillante Scacco matto; o per pura malvagità, stroncando sul nascere l'avanzata delle macchine, come nel satirico Budrys (molto efficace nel descrivere le dinamiche dello sviluppo tecnologico), e nella Furia di Kuttner-Moore, il più psicologicamente drammatico, dickiano nella manipolazione della realtà subìta dal protagonista (nulla a che vedere con il romanzo omonimo).
Ma le macchine potrebbero prendere il sopravvento in maniera più subdola, sabotando la nostra capacità di riproduzione sessuale, nostro tallone d'Achille: come nel malizioso racconto di tal Idriss Seabright (non per nulla in realtà Margaret St. Clair, autrice dell'altrettanto malizioso Segno della doppia ascia).
L'unico a superare la contrapposizione uomo/macchina è Poul Anderson: nel suo Don Chisciotte e i mulini a vento, letterariamente il più bello, l'androide non sfugge all'angoscia esistenziale dell'uomo.
Chiuso il libro, una domanda: quanti di questi interrogativi, davanti all'avanzare del transumano, sono già storicamente superati e "archeologia della fantascienza"?
Traduzione efficace di Daniela Abravanel; nel racconto di Miller si poteva non lasciare juggernaut e behemoth che in italiano non sono molto chiari... il cyborg Brontolo era probabilmente Grunt in originale (come il nano di Biancaneve, appunto), ma in gergo militare sta per "burba" o "spina". La "foresta della pioggia" forse nel '77 si poteva già dire "pluviale".