Fantastico

Racconto d’autunno, di Tommaso Landolfi

Domenica, 17 Settembre 2023

Il Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi (Adelphi, 1995) è caratterizzato da un'atmosfera crepuscolare e onirica. Il Lettore è chiamato a varcare la soglia iniziatica dell’Arcano XVIII (tanti sono i capitoli del libro, se si esclude la conclusione), a entrare nel regno di Immaginazione, Oscurità, Irrazionalità e Illusione.

Racconto d’autunno è una storia di fantasmi: larve che prendono corpo nell’inconscio del Narratore, dell’Autore e del Lettore. Due cerberi, balzati fuori dal mazzo dei tarocchi, custodiscono una casa-labirinto sospesa al di fuori del tempo:

Giunsi a piè della facciata principale; essa si ergeva livida nell’aria bruna e aveva davanti un vasto terrazzo, cui si accedeva per una doppia rampa e su cui si apriva la grande porta. Notai, sulla balaustra di pietra di questa rampa, alcune piramidi e palle anch’esse di pietra, come ne aveva, tre o quattro secoli fa, quasi ogni rustica dimora dei nobili di quei paraggi.

Il palazzo-libro affonda le sue radici nella biografia di Tommaso Landolfi e, più precisamente, in due traumi: la morte della madre e la distruzione del palazzo-utero di Pico, avvenuta in seguito ai bombardamenti del 1944. Da qui nasce la storia di un uomo che, nel mezzo di un conflitto, si ritrova davanti a una magione apparentemente disabitata.

Una volta varcata la soglia iniziatica dell’arcano, la Realtà e i dati storico-biografici passano in secondo piano: il Narratore e il Lettore vengono imprigionati in un giardino d’Armida, per dir così, alla rovescia. Un enigmatico vecchio sembra essere il solo abitante di questa labirintica magione. Il Narratore e il Lettore, ospiti più o meno indesiderati, sospesi tra repulsione e curiosità, errano per i corridoi di una casa in cui riecheggiano echi ottocenteschi, da romanzo gotico. Quale segreto si nasconde tra queste mura?

La casa di Landolfi è un luogo altro, atemporale. Un acchiappasogni, anzi incubi. Una ragnatela di parole. Un labirinto che rispecchia i meandri della psiche umana. Un palazzo in cui prendono corpo i fantasmi e gli ammennicoli del romanzo nero. Un luogo abitato/infestato da una magnifica e inquietante presenza-assenza. Il Narratore e il Lettore, immersi nelle tenebre dell’irrazionale, accendono, uno dopo l’altro, tre zolfanelli, come nella fiaba di Andersen. La fioca luce rischiara un ritratto: un volto di donna lampeggia tra le tenebre; le sue vestigia sono disseminate tra le stanze della villa.

Il Narratore e il Lettore vanno alla recherche di questa misteriosa Lei, frutto del matrimonio tra Eros e Thanatos, di una Passione che fa rima con Perversione. Lei – Morella e Beatrice, Ecate, vittima e carnefice – è avvolta in un alone-sudario dorato (nell’antico Egitto, l’oro era simbolo di lutto e, allo stesso tempo, di vita eterna):

Il caso sembrava menarmi sempre più accosto alla fonte prima, se m’è permesso d’esprimermi così, di quel giallore, in luoghi sempre più impregnati di lei; e anche il suo profumo, lì più forte. Ma, a ben fiutarlo, profumo di persona vivente o di cose morte?

Il Narratore è avvinto dai lacci dell’attesa e dell’inganno. Il Lettore, invece, è invischiato in una ragnatela d’inchiostro, in un groviglio di parole scelte e oscure: lo stile di Landolfi è arcaico, arcano e ammaliante; la sua lingua trae linfa vitale dal sostrato linguistico custodito nei vocabolari.

Il Lettore si ritrova preso tra le maglie di una sintassi complessa, levigata e peregrina1. Le inversioni nell’ordine delle parole richiedono uno sforzo mentale simile a quello di chi compie una traduzione dal latino o di chi tenta di decifrare un manoscritto trovato in una bottiglia. Fili di parole si aggrovigliano nella mente del Lettore, avvolgendolo nelle loro spire d’inchiostro. Niente di più lontano dallo stile limpido, chiaro, di Italo Calvino: impensabile immaginare i due scrittori sotto lo stesso sole, quello di Sanremo, salvo pensarli di fronte al surreale e immaginifico Palais d’Agra.

Il Lettore è allo stesso tempo affascinato e respinto da questo stile unico, da una prosa che rivela sia un amore viscerale per la lingua italiana, sia una sfiducia nelle capacità comunicative della lingua2:

Non spero di farmi intendere, forse non voglio. Non pretendo giustificarmi né dare spiegazioni; solo dirò quello che vidi.

Una prosa ipnotica che riesce sia a evocare visioni evanescenti e ingannevoli, sia a rendere reale e “viva” la casa-labirinto: il Lettore “vede” le stanze, “cammina” per i corridoi e respira la fragranza dolce e marcescente dell’autunno. L’incantesimo è però destinato a spezzarsi: la Realtà irrompe nel sogno, ma la porta dell’Arcano resta spalancata. La Luna, simbolo di un testo onirico, notturno e allucinato, continua a vegliare sulla triade formata da Narratore, Autore e Lettore.

  1. Maria Antonietta Grignani, «L’espressione, la voce stessa ci tradiscono». Sulla lingua di Tommaso Landolfi – Bollettino ‘900
  2. Landolfi, Tommaso, “Dizionario Biografico”, Treccani.it. vedi anche Il mistero di Tommaso Landolfi, Matteo de Giuli e Matteo Moca – Il tascabile

Scheda del libro

  • Titolo: Racconto d’autunno
  • Collana: Biblioteca Adelphi, 301
  • Autore: Tommaso Landolfi
  • Pagine: 141
  • Editore: Adelphi
  • Anno: 1995